Martedì 16 Aprile 2024

Lo Stato assume, è la cura Brunetta. "Lavoro da casa e basta burocrazia"

Il ministro vuol cambiare la Pubblica amministrazione: "Ogni anno 150mila posti. Semplificare le pratiche"

Renato Brunetta (Ansa)

Il capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta, durante la discussione generale sulla proposta di legge sulla riduzione delle indennita' dei parlamentari nell'aula di Montecitorio, Roma, 24 ottobre 2016. ANSA/ETTORE FERRARI

Roma, 18 aprile 2021 -  Il piano per la riapertura dell’Italia è il primo atto. Ma le leve per la ripartenza del Paese, soprattutto per l’attuazione del Recovery Plan, passano in maniera decisiva  dalla rivoluzione della Pubblica amministrazione. A spiegarlo, punto dopo punto, è il regista dell’operazione, Renato Brunetta, tornato a Palazzo Vidoni come Ministro della Pa tredici anni dopo il primo incarico. "Ho riassunto il mio compito a bordo di questa nave di cui Draghi è il timoniere – avvisa - nelle prime quattro lettere dell’alfabeto: A come accesso, B come buona amministrazione, C come capitale umano e D come digitalizzazione. Con un avvertimento: senza una rivoluzione del reclutamento che premi merito e competenze, senza l’eliminazione dei colli di bottiglia che paralizzano le procedure, senza una massiccia e chirurgica opera di semplificazione la digitalizzazione è destinata a fallire". 

La riapertura decisa l’altro giorno dal governo è il primo atto, ma funzionerà o saremo costretti a marce indietro? 

"La migliore politica economica e fiscale in questa fase è vaccinare, vaccinare,vaccinare. Entro l’autunno, come è scritto nella relazione al Parlamento che accompagna il Def 2021, possiamo centrare l’obiettivo di vaccinare l’80% della popolazione. Significa mettere in sicurezza l’Italia. I dati sulla manifattura sono rassicuranti, ora dobbiamo dedicare energie e risorse a risollevare il terziario, soprattutto il terziario urbano, che rappresenta i servizi di prossimità più vicini al cittadino: i negozi di quartiere, i servizi alla persona e alle imprese. È stato il settore sociologicamente ed economicamente più colpito dalle chiusure decise dal governo. Per questo motivo, questi esercenti vanno risarciti prioritariamente con i 40 miliardi del prossimo scostamento, proprio perché, con le chiusure obbligate, hanno contribuito a creare un bene pubblico: la salute. In ogni caso, il Consiglio dei ministri di mercoledì scorso, approvando il Def e la richiesta di scostamento, ha già segnato il cambio di passo più significativo, la discontinuità che tutti aspettavano dal governo Draghi".

Quale?

"Dei 70 miliardi di scostamento in dodici anni per finanziare il piano complementare di investimenti, ben 30 sono previsti tra il 2022 e il 2026. Significa che al totale di 205 miliardi – tra i 191,5 iniziali del Recovery di prestiti e sovvenzioni e i 13,5 di React Eu - se ne aggiungono 30 da spendere entro il 2026, per un totale complessivo di 235 miliardi in cinque anni. In teoria, la spesa per gli investimenti potrebbe aumentare di circa 50 miliardi all'anno, per un valore pari a circa il 3% del Pil 2020".

In tutto questo quanto conta il ruolo dello stesso premier? 

"Il grande asset nuovo, il clamoroso investimento che darà modo all’Italia di emergere rinnovata da questa crisi pandemica, è Mario Draghi. Finora l’Europa, nel bene e nel male, è stata dominata dalla presenza egemonica di Angela Merkel. Se ne va. Lascia un vuoto continentale di leadership. L’ultimo suo atto importante è stato la promozione del Recovery Fund, un gesto totalmente innovativo che introduce con forza l’idea della mutualizzazione dei debiti sovrani, rendendoli un po’ meno sovrani, per cui ciascuno porta i pesi degli altri, strappando l’Italia dalla sua solitudine abbastanza disperata. È stato il momento Merkel. Ora c’è il momento Draghi. Sta già prendendo le redini dell’Unione. Il suo prestigio globale ha schiacciato lo spread al minimo. Il fattore D come Draghi oggettivamente sposta gli equilibri nel Mediterraneo. L’opinione pubblica e l’intero establishment italiano tarda ad accorgersene, in fondo abituato a provincializzare anche ciò che l’Italia ha di oro puro da far valere nella competizione mondiale. All’estero – basti leggere la stampa internazionale – stanno prendendo consapevolezza di questo formidabile innesto che rappresenta di certo una nuova chance per l’Europa ma – parlo con orgoglio patriottico – soprattutto per l’Italia. Il G20 a presidenza italiana sarà il tempo in cui crescerà la stima e la fiducia del mondo non solo verso la persona di Draghi ma verso gli italiani. Sarà il caso che il piccolo mondo antico dominante nel nostro Paese, la famosa Italietta, getti via questa maschera di autodenigrazione". 

Ma torniamo al suo ritorno a Palazzo Vidoni: un decennio fa lei incarnò la battaglia contro i fannulloni e i furbetti del cartellino: con quale missione è tornato? 

"Ho ricominciato questa straordinaria esperienza a partire da una consapevolezza e da una necessità. La consapevolezza è che la mia riforma del 2009 è rimasta in parte incompiuta, frenata dall’impossibilità di rinnovare i contratti, principale leva per il cambiamento, e dalla crisi economico-finanziaria che ha portato a dieci anni di blocco del turnover. Ho ritrovato una Pubblica amministrazione invecchiata e depauperata. La necessità è quella di non sprecare l’opportunità unica dei fondi europei del Next Generation Eu per salvare e cambiare l’Italia. Senza una Pa rafforzata quantitativamente e qualitativamente nessuna ripresa è possibile". 

Il primo atto è stato riagganciare il sindacato: che cosa è cambiato?

"Il 10 marzo scorso abbiamo siglato a Palazzo Chigi con il presidente Draghi e i segretari generali di Cgil Cisl e Uil il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale. Come il Protocollo Ciampi-Giugni del 1993, anche questo accordo è figlio dello spirito del tempo: in entrambi i casi, il dialogo sociale è il pilastro per avvalorare e sostenere una scelta strategica. Avevo contribuito a scrivere l’intesa di 28 anni fa, ho voluto e firmato quella di marzo".

Con quale obiettivo? 

"Rimettere al centro del rilancio il capitale umano pubblico è la mia missione. Lo meritano i dipendenti pubblici e che hanno rappresentato il primo fronte contro la pandemia: infermieri, medici, forze dell’ordine. Ma lo meritano soprattutto i cittadini e le imprese, che hanno diritto a servizi pubblici efficienti. Lo ricordo sempre: una Pa che funziona è la prima arma contro le disuguaglianze, perché soltanto i ricchi possono permettersi di acquistare sul mercato i servizi sostitutivi". 

Cittadini e imprese, però, durante la pandemia hanno dovuto fare i conti anche con i disservizi: insomma, lo smart working non è stata una gran prova. Che fare oggi? 

"La pandemia ci ha costretto a una sorta di imprevista sperimentazione di massa, di cui dobbiamo fare tesoro. Senza imbrigliarlo in percentuali, lo smart working dovrà restare uno strumento di organizzazione del lavoro pubblico e dovrà essere regolato dal contratto, per evitare ogni abuso a danno dei dipendenti. Ma dovrà anche essere ancorato a tre variabili: efficienza, produttività e customer satisfaction. Se le migliora bene, altrimenti si lavora in presenza". 

Una  delle leve strategiche del cambiamento passa dal reclutamento di nuove professionalità: come evitare i vecchi, inutili concorsi? 

"Le novità sono già cominciate. Nell’ultimo decreto Covid, all’articolo 10, abbiamo disegnato la rivoluzione dei concorsi pubblici. Innanzitutto abbiamo sbloccato quelli che si erano arenati anche a causa della pandemia: potranno riprendere dal 3 maggio grazie a un nuovo protocollo validato dal Cts. In secondo luogo abbiamo riformato l’accesso a regime alla Pubblica amministrazione, digitalizzando l’intero processo dei concorsi dalla presentazione della domanda alla pubblicazione delle graduatorie finali. Persino la prova orale potrà essere sempre svolta in videoconferenza. Basta carta e penna, basta concorsi ottocenteschi. E basta anche alberghi pieni come stadi. Abbiamo abolito le prove preselettive attraverso i quiz logico-matematici: sono state introdotte nel recente passato per permettere alle amministrazioni rapide scremature nei casi di gigantismo dei concorsi, ma rappresentano uno schiaffo al pensiero critico delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi. Li abbiamo costretti a mandare a memoria per mesi, se non per anni, banche dati di test non collegati ad alcuna forma di competenza professionale, per la gioia delle società che le pubblicano. Vogliamo tornare a dare valore ai titoli di studio e ai percorsi formativi". 

I critici sostengono, però, che penalizza i più giovani.

"Voglio rassicurarli, e metterli in guardia dai cattivi maestri che li spaventano. Il decreto con le nuove regole sui concorsi, comunque, è adesso all’esame del Parlamento: sono pronto ad ascoltare tutti. Ben venga discutere nel merito. Ma difendere le preselettive per come sono state effettuate fino a oggi no, è inaccettabile. E a me preoccupa che qualcuno, anche illustri professori, lo faccia in nome di un malinteso principio di uguaglianza. Non è avallando il mero esercizio mnemonico che diamo opportunità ai giovani, non è con questo tipo di selezione che permettiamo alla Pubblica amministrazione il salto di qualità che ci chiede l’Europa e che a parole tutti invocano". 

Di quante nuove assunzioni parliamo? 

"Abbiamo bisogno di immettere nella Pa circa 150mila persone ogni anno da qui al 2026, non soltanto per compensare le uscite, ma anche per rafforzare gli organici dei settori più sofferenti, come la sanità e gli enti locali. Accanto a questo, dobbiamo reclutare personale qualificato, tecnico e gestionale, per la realizzazione dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Sono altre migliaia di occasioni di lavoro, che saranno pubblicate e organizzate in un nuovo Portale del reclutamento che mutuerà le migliori esperienze nazionali e internazionali".

Non ci sarà ripartenza, in ogni caso, se non si semplificano "anche" le regole per cittadini e imprese: lo stesso presidente Draghi ha parlato di "paura della firma" che blocca ogni atto. Perché questa dovrebbe essere la volta buona? 

"Perché i quasi 200 miliardi del Next Generation Eu sono un treno che, senza riforme, rischiamo di perdere. Anche l’Ocse, nella scheda sull’Italia del rapporto “Going for growth 2021”, ha ricordato che l’efficienza della Pa è priorità essenziale per la ripresa. Non ci può essere transizione digitale e transizione ecologica senza una Pubblica amministrazione che si trasformi da costo, come oggi è percepita, a “facilitatrice” della vita di cittadini e imprese. Per questo siamo partiti da una ricognizione del lavoro svolto sin qui dai governi precedenti, da centri di ricerca pubblici e privati, dai migliori giuristi ed economisti. Abbiamo finora mappato quasi 600 procedure complesse. Dobbiamo eliminare tutti i colli di bottiglia che potrebbero rallentare o bloccare i progetti del Pnrr. I prossimi decreti, uno sulle semplificazioni e l’altro sul reclutamento, che contiamo di approvare entro la prima decade di maggio, serviranno ad accompagnare il Pnrr: la nostra patente per dire a Bruxelles che ce la faremo".