Martedì 23 Aprile 2024

Lo show di Trump "Fermerò la guerra" E sfida i repubblicani: pronto a correre da solo

L’ex presidente non vuole rinunciare a ricandidarsi contro Biden "Lo farò anche se incriminato e senza l’appoggio dell’establishment". Poi le promesse sull’Ucraina e sulla Cina: "Bloccherò l’import da Pechino"

di Cesare De Carlo

Ma non era spacciato? Donald Trump sembra muoversi sulla scia di Mark Twain: le notizie sulla sua morte erano grandemente esagerate. Morte politica ovviamente, perché – a differenza del democratico Joe Biden – la sua salute appare eccellente. Fra i due ci sono quattro anni di differenza: 76 a 80. Tuttavia rimane improbabile se non impossibile che il prossimo anno siano ancora loro a contendersi la Casa Bianca.

Donald is back, dicono i suoi sostenitori. Sino a un certo punto: Trump non ha l’appoggio dell’establishment repubblicano. E quanto alla pubblica opinione non è attendibile lo straw poll, il "sondaggio paglia", non rappresentativo, svoltosi un paio di giorni fa a Kansas City. Trump l’ha vinto con il 62 per cento contro appena il 20 per Ron DeSantis, governatore della Florida, astro nascente del partito e paradossalmente suo figlioccio politico. Reazione del collerico tycoon: l’ho creato io, meglio che non si presenti. E invece la sua "creatura" ha tutta l’intenzione di contendergli la nomination repubblicana. La stagione delle primarie partirà – come sempre – dall’Iowa nel gennaio del prossimo anno.

Questo il motivo per cui DeSantis, italo-americano, 32 anni più giovane, non ha partecipato alla convention della Conservative Political Action dominata dai trumpiani. E tanto meno si lascerà condizionare dalla gelosia dell’ex mentore. Presto darà l’atteso annuncio. Ce ne sono altri due, quelli di Nikki Haley ex governatore della South Carolina, e di Vivek Ramaswamy, un businessman, un signor nessuno. È invece possibile se non probabile un altro scenario: Trump non accetta altra nomination che la sua. L’ha già fatto intendere. Si potrebbe presentare come indipendente. Insomma – assicurando di essere l’unico a poter evitare la terza guerra mondiale e promettendo di essere a bloccare per quattro anni l’import dalla Cina – Trump si candiderenne sia che non lo vogliano i repubblicani, sia che venga nel frattempo incriminato.

È un copione già visto in casa repubblicana. Nel 1992 e nel 1996, i nominati repubblicani, George H. Bush, padre di George W., e Bob Dole, si ritrovarono sconfitti perchè alla loro destra si presentò come indipendente Ross Perot. Il miliardario texano ottenne rispettivamente il 17 e il 15 per cento dei voti conservatori. E per due volte la Casa Bianca andò a Bill Clinton. Ovvio che fra i repubblicani cresca l’irritazione più che l’imbarazzo nei confronti dell’ex presidente. Il motivo principale è d’immagine più che di programmi. L’immagine è fondamentale: Trump, grane giudiziarie a parte, è "divisive". È l’unico – assicurano altri sondaggi – contro cui Biden potrebbe rivincere. DeSantis invece è Trump senza essere Trump. Quanto ai programmi, non ci sono differenze sostanziali. Meno tasse e meno debiti nel solco della reaganiana supply side economy.

Unanimità anche sull’Ucraina. I repubblicani e una buona parte dei democratici lamentano l’assenza di exit strategy. Quella guerra continuerà a trascinarsi senza vinti né vincitori. E il nuovo Speaker della Camera Kevin McCarthy ha già detto che non ci saranno più "assegni in bianco" per l’irriducibile Zelensky. Non si tratta di pacifismo populista. L’isolazionismo è una costante della politica estera americana: nei conflitti, come dimostra la storia, gli americani ci sono sempre stati trascinati per i capelli. Con una eccezione: l’Iraq. Convinzione prevalente è che in Ucraina gli Stati Uniti non abbiano interessi vitali. E pochi pensano che dopo le umiliazioni sul campo Putin davvero possa attaccare un Paese Nato.

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