L’italiana che allena a Teheran "Ma non metto il velo in palestra"

La trentina di 47 anni in Iran guiderà la nazionale femminile di volley: "Non è vero che le donne non sono libere"

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di Doriano

Rabotti

"Se dovessi giudicare da quello che ho visto io, le donne hanno più possibilità di farsi valere in Iran, rispetto all’Italia".

Alessandra Campedelli non ci gira tanto intorno. Anche se la sua premessa limita parecchio la portata dell’analisi, è lei stesso la prima ad ammetterlo: "Io posso solo parlare di quello che ho visto nel mondo della pallavolo, nelle due settimane che ho passato in Iran".

La Campedelli, trentina di Mori, 47 anni, allenatrice della nazionale italiana sorde con cui ha vinto medaglie mondiali ed olimpiche, ha appena firmato un accordo con la federazione di volley asiatica: è il ct della nazionale femminile e supervisore delle nazionali giovanili.

Alessandra, come è nata questa svolta?

"Io cercavo una nuova occasione, il bando di selezione della federazione iraniana lo era. Parliamo di due anni fa, la pandemia ha rallentato tutto. Chiesi consiglio a Julio Velasco, che in Iran ha allenato ed è un vero idolo. Lui mi ha detto di andare, mi ha spiegato che cosa aspettarmi e forse ha speso anche qualche parola, questo mi ha aiutato. Prima di Natale sono volata a Teheran per incontrare la federazione, le società e firmare".

E vi siete piaciuti.

"Eravamo cinque donne di diverse nazionalità, in corsa. È un onore essere stata scelta, ho conosciuto una realtà molto diversa da come viene raccontata".

Nel senso che le donne sono più libere di quanto si dice?

"Non solo, io ho incontrato donne in ruoli chiave di molti club, oltre alla vicepresidente della Federazione e a dirigenti del loro Coni. E nei meeting di lavoro sono gli uomini a servire il thé alle donne. È un paese di grandissima cultura e rispetto".

Però vanno in campo col velo, le sue giocatrici.

"È vero, ma non la vivono come una forzatura, per loro è la divisa. E tutta la qualità delle strutture è migliore. Un altro esempio: i presidenti della polisportive in cui sono inseriti i club di pallavolo si affidano ad ex giocatori da assumere nelle loro aziende a fine carriera, perché capiscolo il valore formativo dello sport. Da noi succede il contrario, qualche giocatore è costretto a smettere prima per costruirsi un lavoro. E per avere la chance che io ho trovato qui, in Italia una donna deve faticare il triplo di un uomo".

Lei ha messo il velo?

"Non sono obbligata a farlo. Io ho voluto provare tutti i tipi, dal chador a quelli più stretti, per capire come ci si sente. Ma non avrò obblighi, come non l’hanno le donne iraniane. Ho sentito sempre il rispetto e una cultura millenaria che si respirano anche nelle piccole cose. E comunque il velo ormai per molte donne è solo un capo di abbigliamento: lo abbinano anche per ragioni estetiche".

Non ha il sospetto di aver visto solo quello che succede in una élite?

"Può darsi, ma in realtà credo che sia abbastanza rappresentativo della società. L’Iran sta investendo tantissimo nello sport, nella sua pratica a tutti i livelli. La cosa che mi ha stupito di più è che senza aver ancora allenato una volta, la gente mi fermava per strada, e mi ringraziava per aver scelto di dare loro fiducia... Come paese hanno una grande voglia di farsi conoscere meglio"

La sua famiglia come l’ha presa?

"Sono contenti e orgogliosi, hanno sostenuto subito la mia scelta. Resterò in Italia per un po’, poi ripartirò e andrò in Iran fino a giugno. Spero solo di poter mantenere la guida della nazionale italiana sorde alle Olimpiadi. Non sarà semplice".