Per approfondire:
Lo scorso 8 giugno il nostro ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, con un volo reso complesso da un “pasticciaccio brutto” di cui si è molto parlato, era volato ad Herat, la capitale-simbolo dei nostri vent’anni in Afghanistan, per la cerimonia dell’ultimo ammaina bandiera. Coordinando con gli Alleati della Nato, era venuto il nostro momento per il rimpatrio. Tutte le misure erano state infatti programmate da tempo e, di conseguenza, il rientro del nostro ormai modesto contingente è avvenuto con calma e in buon ordine. Spari contro C-130 italiano decollato da Kabul. Talebani vietano la musica "Nessuno sarà lasciato solo", aveva annunciato il ministro in risposta alle istanze del personale locale che aveva collaborato con i nostri in questi lunghi anni. Le liste di coloro che desideravano essere accolti in Italia erano in parte già definite ed in parte in corso di valutazione. Un primo contingente, infatti, era arrivato in Italia direttamente da Herat, ed in tempi brevi. Poi, a causa degli eventi che ormai tutti conosciamo, è scattata la trappola del “chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori”. Tutto perduto, quindi, per quelli rimasti isolati ad Herat? Non è detto, non lo sappiamo e, quindi, non lo diciamo. Esistono da sempre gli “angeli custodi”. A volte non li avvertiamo, ma ci sono. A volte forse li vediamo, ma non sappiamo riconoscerli. Forse hanno sembianze soavi, oppure portano un folto paio di baffi. Non si sa, ma qualcosa di buono può sempre accadere. Con il diktat talebano che intima ai soldati stranieri l’abbandono del territorio entro il 31 agosto, accettata da un ineffabile Joe Biden nonostante le pressioni in ambito G7, le cose si sono complicate. Soprattutto per quella parte dei 10 mila e passa cittadini afghani bloccata nell’area dell’aeroporto pur non facendo parte di alcuna lista di ...
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