L’Italia spreca i soldi Pnrr. Spesi solo 20 miliardi su 42

Il ministro Fitto conferma: "L’indicatore che ne emerge è molto preoccupante"

Roma, 1 dicembre 2022 Le parole del solitamente prudente e stringato ministro Raffaele Fitto bastano e, verrebbe da dire, avanzano, per rendersi conto di quello che rischiamo come Paese. "La previsione di spesa del Pnrr all’inizio della sua approvazione era di 42 miliardi di euro al 31 dicembre di quest’anno – spiega –. Questa spesa è stata rivista al ribasso a 33 miliardi e a settembre è stata rivista a 21 miliardi. Nei prossimi giorni noi prenderemo atto di quanto si è speso", ma "temo che la percentuale di spesa non sarà molto alta e sarà distante dai 22 miliardi di euro. L’indicatore della spesa è molto preoccupante, perché se mettiamo insieme tutte le risorse disponibili e le proiettiamo al 2026 è chiaro che c’è bisogno di un confronto a livello europeo e nazionale".

Dunque, per non girarci intorno, rischiamo di perdere i 200 miliardi di euro che, tra risorse a fondo perduto e prestiti vantaggiosi, abbiamo così faticosamente strappato all’Europa. E rischiamo di perderli non perché da Bruxelles ci chiedono chissà quali impegni, ma perché, tragicamente e banalmente, non siamo in grado di spenderli. È questa l’amarissima e dolente verità che lo stesso Fitto disvela senza tanti fronzoli, ma con la forza dei numeri.

Una verità che, in fondo, temevamo e conoscevamo e che lo stesso premier Mario Draghi sapeva, quando, fin dall’inizio del suo incarico, ha messo all’indice e denunciato uno dei mali più radicati della burocrazia italiana: la paura della firma. Quel terrore per niente sacro (ma, anzi, molto vile) che attanaglia centinaia di dirigenti e funzionari pubblici che, pur di non assumersi le responsabilità (per le quali sono spesso lautamente pagati), si inventano qualsiasi cosa torni utile al rinvio della decisione il più avanti possibile.

Peccato, però, che a forza di dilazioni e perdite di tempo, determinate da quella che è stata giustamente definita "burocrazia difensiva", siamo arrivati al disastroso stato di attuazione del Pnrr. Così come nei decenni passati siamo riusciti nell’impresa di perdere miliardi di euro di fondi europei e nazionali e, come conseguenza drammatica, di avere uno sviluppo infrastrutturale da Terzo Mondo.

La burocrazia, dunque, primo male non oscuro degli infiniti ritardi italiani. Ma non il solo. Nello stesso filone rientra la giustizia amministrativa. Nonostante i meccanismi di accelerazione delle scelte e degli appalti, decisi dal governo precedente, anche per le opere del Pnrr basta un ricorso a uno dei venti Tribunali amministrativi regionali (i Tar) per bloccare, fermare, paralizzare tutto il paralizzabile per anni e anni.

È il caso non astratto, ma purtroppo molto concreto, del nodo ferroviario dell’Alta Velocità a Sud di Bari. Un’opera indispensabile per andare avanti nel tracciato, ma che è finita sotto il tiro incrociato di associazioni ambientaliste, che hanno trovato ascolto nel Tar della Puglia. Il risultato? Le autorizzazioni di Regione, Soprintendenza, Ministeri delle Infrastrutture e della Cultura non sono state ritenute sufficienti a spiegare le ragioni del percorso scelto. Dunque, opera bloccata e finanziamenti del Pnrr a rischio. E non è detto che sia il solo pezzo di Alta Velocità in pericolo: ritardi significativi si segnalano per i bandi e per i dibattiti pubblici per la Salerno – Reggio Calabria, fin dai primi tratti.

La morale che ne deriva è fin troppo netta: il ministro Matteo Salvini fa anche bene a rilanciare il Ponte sullo Stretto. Ma sarebbe più urgente tagliare le unghie, con regole semplici e chiare, a burocrati zelanti e magistrati legulei.