Mercoledì 24 Aprile 2024

L’Italia che dà i numeri e spera di vincere una fortuna

Nino

Femiani

È il più favoloso montepremi nella storia del Superenalotto, il jackpot più alto al mondo. Nell’estrazione di stasera in palio ci sono 210,5 milioni, una fortuna. Una cifra da capogiro, da non dormirci la notte. E se non si dorme, non si sogna nemmeno i numeri vincenti.

Comunque la corsa alla giocata è febbrile come quella all’oro: a Napoli c’è folla dalla mattina davanti ai bancolotto, giocatori con il volto spiritato che si sentono unti del Signore, sicuri di non essere traditi dai sei bussolotti. "Ho giocato tre numeri al lotto venticinque, sessanta e trentotto li ho giocati convinto perché li ho sognati tutti e tre", cantava Peter Van Wood, il chitarrista di Renato Carosone poi diventato una star per le previsioni astrologiche, con una seconda carriera televisiva.

Oggi il terno vincente non basta più se vuoi svoltare. Occorre la sestina e certo non è sufficiente affidarsi al segno zodiacale fortunato. E allora ecco che inizia la partita: richiede alchimia pura e matematica applicata, quasi si trattasse di elaborare i numeri del Def e non di una semplice schedina.

Da cinquecento anni a questa parte il mix è sempre lo stesso: tradizione e tecnica, cultura lottistica e stellone, perché riuscire a cogliere il sei significa sistemarsi per almeno quattro generazioni (sempre che non abbiamo le mani bucate). A Napoli nell’ultimo decennio sono nati i "professionisti del jackpot", studiosi che hanno soppiantato gli "smorfiologi". Si dedicano alla lottistica, dando sistemazione a metodi e strategie attuate tramite calcoli ciclometrici, somme e distanze fra i vari numeri.

I lottologi fanno uno studio attento dei numeri ritardatari e di quelli più frequenti nelle ultime cento estrazioni. Si evita come la peste il 77, uscito già 16 volte, e si strizza l’occhio a 4, 36, 69 e 90 estratti solo due volte. Roba da raffinati, certo. La massa si affida alla cabala, al numero di targa. O anche al parente buonanima. Perché si sa, il lotto – detestato dagli intellettuali – è per il popolino la fabbrica dei sogni, tanto che Matilde Serao lo definiva "il gioco che consola la fantasia".