Mercoledì 24 Aprile 2024

L’Iran nucleare è un pericolo solo a metà

Mario

Arpino

Ancora pochi giorni fa Joe Biden avvertiva che gli Stati Uniti sono pronti alla forza per fermare l’atomica iraniana. Ieri, il capo dell’Organizzazione per l’energia atomica (AEOI), ing. Eslami, affermava che il Paese ha già la capacità di costruire l’ordigno e che l’AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, ne è consapevole. Tuttavia, mitigando, ha assicurato che "…un tale programma non è all’ordine del giorno". Ma Israele è allarmata, e le minacce del presidente americano non sembrano affatto un passo in avanti.

A chi dar retta, a Joe Biden, che ha imparato da Obama tutto sulle wars from behind, o ai più cauti ed abili diplomatici iraniani? Difficile dirlo.

Al dilà dell’attitudine spiccatamente ideologica dei democratici americani, oltre Atlantico c’è chi non ritiene che un’Iran nucleare sia davvero un pericolo. Anzi – bicchiere mezzo pieno – alla distanza per gli Usa si sarebbe potuto tramutare in un punto di vantaggio. Una decina d’anni fa il prof. Adam B. Lowther (Air University - Maxwell), elencava cinque plausibili motivi. Primo, un’Iran nucleare sarebbe percepito come minaccia dai Paesi sunniti, avvicinandoli ulteriormente. Secondo, divenendone primario provider di sicurezza, gli Usa potrebbero infrangere il cartello dell’Opec. Terzo, la minaccia di usare la bomba contro Israele coinvolgerebbe i palestinesi, fungendo da fattore di conciliazione. Quarto, lo stretto legame con il mondo arabo sunnita darebbe respiro al dollaro, all’industria ed all’occupazione, ancora afflitti dai danni delle politiche di Obama. Quinto, dando forza militare a questi Paesi si risparmierebbero miliardi di finanziamento nelle missioni oltremare, eliminando sospetti e antipatie.

Fantasie? Scenari possibili? Certamente. Ma anche questo può servite per difenderci dai ragionamenti a pensiero unico.