Venerdì 19 Aprile 2024

L’Iran di Raisi non porterà nulla di buono

Mario

Arpino

Il nuovo corso che si inaugura in questi giorni in Iran è foriero di guai non solo all’interno, ma anche all’esterno di questo tormentato Paese. Il problema trae origine dalle elezioni presidenziali di metà giugno, che hanno visto vincitore l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, sostenuto dalla Guida Suprema Ali Khamenei.

Ieri, tra l’indifferenza locale e l’assenza di rappresentanze di spicco, si è tenuta la cerimonia di avvicendamento con l’ayatollah moderato Hassan Rouhani, che aveva dato in passato qualche cauto segnale di rinnovamento, aprendo i cuori alla speranza.

Da domani, con il giuramento in Parlamento, l’aspetto formale potrà dirsi concluso. La Guida aveva cassato dalla rosa tutti i candidati sgraditi, congratulandosi poi con Raisi per il successo di questa "…vincente formula di democrazia religiosa". Successo come l’astensione dalle urne, sorvegliate da occhiuti pasdaran, della popolazione più giovane. Il mantra: “Nel nostro Paese ormai le elezioni sono inutili”.

Conseguenze pericolose, dicevamo, all’interno e all’esterno. All’interno del mondo sciita, che riguarda anche buona parte dell’Iraq, del Libano e della Siria, si va incontro a una sorta di scissione, foriera di nuovi guai. In Siria e nell’incerto Libano si rafforzerà l’influenza iraniana, mentre in Iraq, dove lo stesso Grande Ayatollah al-Sistani ed il Governo mal sopportano la pressione iraniana, la svolta potrebbe forse favorire l’Occidente. All’esterno, nel Golfo si acuirà il disturbo al traffico commerciale, con reazioni armate. Certamente Ebrahim Raisi riprenderà ad invocare la "distruzione di Israele", e questo rimetterà in discussione il cauto approccio di Joe Biden verso la ripresa dei colloqui per l’accordo sul controllo del nucleare iraniano.

Nessun pericolo immediato, ma sono tutti inneschi di incendi che potrebbero divampare in un futuro non lontano.