L'ira di Bolt: la tecnologia falsa i record

Per il campione le scarpe moderne danno un vantaggio sleale. Non solo sport. Anche i cantanti hanno super microfoni che migliorano la voce

Il velocista jamaicano Usain Bolt, 35 anni, detentore di molti record

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Il Fulmine ha paura che i suoi record di velocità sulla pista di atletica possano essere battuti e alla vigilia delle Olimpiadi di Tokyo – lui che di ori olimpici ne ha al collo ben otto – protesta: "Hanno inventato scarpe speciali, più leggere e troppo più performanti rispetto alle mie. Non vale". Sembra un bambino a cui hanno strappato il barattolo della Nutella, eppure è Usain Bolt, 35 anni il 21 agosto, la freccia giamaicana capace di correre i 100 metri in 9 secondi e 58 centesimi e i 20 in 19 e 19, tempi ottenuti a Berlino nel 2009; in quel caso erano i Mondiali nei quali in carriera ha vinto 11 titoli. Il giamaicano ha smesso nel 2017 di imperversare sulle piste, l’anno dopo i tre titoli di Rio de Janeiro, dove aveva vinto anche la staffetta 4x100, così come a Londra 2012, mentre a Pechino 2008 dovette "accontentarsi" dei titoli individuali perché la 4x100 gialloverde, che aveva tagliato il traguardo prima col tempo di 37 e 10, fu squalificata a causa di un errore di cambio.

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Bolt aveva non solo le gambe più esplosive al mondo, ma anche il migliore materiale dell’epoca. Certo, la tecnologia evolve sia sul peso della scarpetta – allora placcata in carbonio – sia sulla spinta della suola chiodata, come ora è approvata dalla Federazione internazionale. "Le innovazioni sono ridicole – spiega Bolt al Guardian –. Le nuove scarpe danno un vantaggio sleale rispetto a chi non le indossa".

Usain teme che i suoi exploit vengano superati e non dai suoi connazionali giamaicani, che sembrano in disarmo. Ovvio che il massimo indiziato per l’oro a Tokyo, il ventiseienne della Florida Trayvon Bromell, la pensi al contrario: "Non credo che ci siano molti dati per confermare che le scarpe stiano permettendo un così grande miglioramento". Bisogna dire che Bromell col suo 9 e 77 è ancora lontano 19 centesimi dal giamaicano, mentre il maggiore avversario per l’oro, il sudafricano Akani Simbine, è fermo, si fa per dire, a 9 e 84. Quanto valessero le lunghe leve di Bolt – scarpe jet o meno – si capisce anche dal tempo che fece a Londra, 9 e 63. Più che nuove suole, a Bromell servirebbe una Ferrari…

Ma nello sport la polemica sul materiale e le performance che permette è vecchia. Quella dei costumi dei nuotatori è stata la più accesa. Nel 2008 con i body suit in poliuretano ci furono risultati cronometrici pazzeschi, miglioramenti di secondi anche nelle discipline più veloci. Il costume "che non si bagnava" e che filava in superficie come fosse un motore, ad esempio l’Lzr Racer, fece storcere il naso a chi ricordava con nostalgia quello di Mark Spitz nel 1972 a Monaco, che tutti avremmo potuto indossare sulla spiaggia. Dopo il 2010 la stessa Federazione che li aveva accolti bocciò i super costumi bollandoli come "doping tecnologico". E che cosa si può dire degli sci e della sciancratura che permette prestazioni che Thoeni non poteva permettersi e misure di attrezzi ben inferiori a quelli usati fino a due decenni fa.

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Ogni sport ha una sua evoluzione tecnologica, ma anche umana: la tecnica è determinante. Nell’atletica c’è un prima e un dopo Dick Fosbury. A Città del Messico nella XIX Olimpiade il saltatore in alto di Portland sconvolse il mondo col suo scavalcamento dorsale che lo portò a 2,24. Da allora il ventrale caro al russo Valeri Brumel fu messo in soffitta. E visto che lo sport è spettacolo, anche lo spettacolo stesso si adegua. Forse non diventeremo tutti intonati come la moglie dell’inventore, ma l’Autotune è ormai un marchio di fabbrica. Il microfono crea suoni particolari che soprattutto in alcuni generi, primi fra tutti il rap e il trap, producono effetti metallici particolari e trascinanti che fanno dimenticare qualche pecca di intonazione. Il recente Festival di Sanremo lo ha definitivamente sdoganato con Fedez e Madame.

Anche se perfino Orietta Berti ha messo da parte il suo lato diplomatico per lanciare una stoccata ai più giovani colleghi, e avversari in gara all’Ariston, soliti impiegare l’Autotune. "Noi non usiamo dei mezzi sofisticati. Siamo all’antica. Vogliamo le spie, l’auricolare, il microfono normale. Così uno se sa fare, sa fare. Se non sa fare va a casa".

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