"L’infermiera non uccise i pazienti" Assolta due volte, torna in libertà

Bologna, cancellati in Appello un ergastolo e una condanna a 30 anni. Era in cella, ieri sera la scarcerazione

Migration

di Andrea Colombari

I pazienti morti sono due, due i fascicoli d’indagine aperti dalla Procura di Ravenna per omicidio pluriaggravato. E per il primo si era arrivati al terzo appello, fatto più unico che raro nel panorama giudiziario nazionale. Ma il risultato è stato lo stesso: assolta e scarcerata. "Sono felice, felicissima, non poteva che finire così: da domani mi godo la mia famiglia", ha fatto in tempo a dire la ex infermiera 49enne Daniela Poggiali prima di sparire tra gli agenti della penitenziaria per l’ultima corsa al carcere di Forlì.

Questione di formalità, prendere le proprie cose, firmare e salutare le altre detenute: perché già alle 18.10 di ieri, subito dopo la lettura della sentenza, lei era una donna libera. "Il fatto non sussiste", ha scandito il presidente della Corte nel silenzio dell’austera aula d’Assise d’Appello di Bologna rotto solo dal pianto liberatorio della sorella e del compagno dell’imputata. Come dire che la morte dei due pazienti – la 78enne Rosa Calderoni e il 94enne Massimo Montanari – non era avvenuta per omicidio.

Una storia quella delle morti sospette alla Medicina dell’ospedale di Lugo di Romagna, reparto nel quale al tempo lavorava la Poggiali, che in sette anni ha alimentato chili e chili di faldoni d’indagine. A partire dalla mattina dell’8 aprile 2014 quando la Calderoni muore a poche ore dal ricovero e la Poggiali, sulla quale già insistevano voci di reparto, viene messa in ferie forzate. I carabinieri vanno a casa sua, dal telefonino spunta una foto destinata a fare il giro del mondo: c’è lei sorridente con i pollici alzati accanto a una paziente di 102 anni appena deceduta. Quell’immagine finirà per costarle il posto di lavoro e la qualifica (è stata licenziata dall’Ausl Romagna e poi radiata dal collegio degli Infermieri). Ma a costarle la libertà sono i livelli di potassio isolati nei bulbi oculari della defunta e considerati anomali dai consulenti dell’accusa.

Per la Procura è andata così: a inizio turno lei ha fatto allontanare la figlia della paziente dalla stanza e ha iniettato alla 78enne una dose di farmaco letale. Movente? Una sorta di sfida a chi, ai primi sospetti, le aveva cambiato di turno spedendola da quello di notte a quello di giorno. Ricostruzione avvallata dai giudici di primo grado a Ravenna che la condannano all’ergastolo.

Un anno dopo in Assise a Bologna tutto cambia radicalmente: lo scenario di una morte naturale prende il sopravvento alla luce di una nuova perizia medico-legale: la Poggiali ne esce assolta, scarcerata e sorridente a favore di telecamere che l’aspettano fuori dal carcere di Bologna. Poi però la Cassazione boccia l’assoluzione, l’appello–bis assolte di nuovo e la Cassazione-bis boccia di nuovo.

Sulla ex infermiera intanto si accumulano due sentenze definitive per furti in corsia a pazienti o a loro parenti per oltre quattro anni di carcere. E arriva pure la chiusura delle indagini per la morte di un secondo paziente, il 94enne Montanari deceduto il 12 marzo 2014 sempre a Lugo giusto poche ore prima di essere dimesso e sempre con lei in turno ma soprattutto in passato datore di lavoro del compagno dell’imputata.

Movente? Cogliere l’occasione giusta per dare seguito a un minaccia pronunciata cinque anni davanti alla segretaria del Montanari, dice l’accusa. Colpevole, anche per secondo il Gup di Ravenna che, a ridosso dell’ultimo Natale, la condanna a 30 anni in abbreviato e firma per lei una nuova custodia cautelare. Ancora carcere insomma. E con il sostituto Procuratore Generale bolognese che chiede la conferma di entrambe le condanne. Per la difesa invece non c’è nessuna prova: giusto sospetti, supposizioni, forse illazioni ma prove zero. "L’accusa contro di me è qualcosa di folle", ha ribadito l’ex infermiera nelle dichiarazioni spontanee in aula prima che prendessero la parola le parti. I suoi difensori, gli avvocati Lorenzo Valgimigli e Gaetano Insolera, hanno parlato per circa due ore. Valgimigli, in particolare, che alla fine ha definito la sentenza di assoluzione un "passo nevralgico e decisivo", aveva accennato alle modalità con cui i dipendenti Ausl avevano repertato il deflussore con tracce di potassio e ha definito le indagini sul caso "fai da te e inaffidabili" e anche "abusive".

La richiesta dei legali nel terzo appello è identica a quella dei due precedenti: "va assolta perché il fatto non sussiste". L’epilogo del processo ora lo conosciamo: c’è l’imputata che viene portata via sorridente e "felice, felicissima" per l’ultimo viaggio, questa volta solo per formalità, tra una nuvola di agenti della penitenziaria.