"Non abbiamo più i nostri ragazzi e loro sono a casa, mia figlia poteva essere soccorsa e questo non lo perdono". Se Umberto Garzarella, 37 anni, è morto sul colpo quel tragico 19 giugno sul lago di Garda, per Greta Nedrotti, 25 anni, sua compagna di escursione, poteva finire diversamente. Sbalzata in acqua dopo che il motoscafo di un imprenditore tedesco aveva centrato la piccola imbarcazione dei due bresciani, Greta venne recuperata dodici ore dopo l’incidente a quasi 100 metri di profondità. Se il bolide non avesse proseguito la corsa, se i soccorsi fossero scattati subito forse, nonostante le ferite, si poteva salvare. A casa il suo ricordo è dolce e struggente, anche nel giorno dell’addio. La chiamavano “la principessa“, figlia unica, adorata. "Era il nostro amore, la nostra vita – sottolinea mamma Nadia – tra poco avrebbe conseguito la laurea magistrale. La nostra vita è finita, ma non smetteremo di lottare perché si arrivi alla verità e sia fatta giustizia". A rendere straziante un addio così precoce, la dinamica dell’incidente: "continuiamo a chiamarlo così perché siamo buoni, ma mia figlia poteva essere salvata", sottolinea il padre di Greta, Raffaele. Perché il fatto che il motoscafo abbia tirato dritto dopo l’impatto è arduo da accettare quanto la morte prematura e tragica dell’unica figlia. Non è ancora il tempo della riflessione e del perdono. È il tempo delle richieste di giustizia. La famiglia di Greta, come quella dell’amico, dimostra una grande compostezza in un momento di dolore indicibile. Non vuole però che si dimentichi quanto accaduto e, soprattutto, ora non è pronta a perdonare. "Non abbiamo più i nostri ragazzi e loro sono a casa – dice il padre – mia figlia poteva essere soccorsa e questo non lo perdono". La madre ha parole più dure. "Non ci si comporta così ...
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