Impiccata per avere ucciso dieci anni fa il marito che era stata costretta a sposare appena quindicenne e che la maltrattava. La pena di morte per Samira Sabzian Fard è stata eseguita all’alba nel carcere di Qarchak, in provincia di Teheran. A nulla sono serviti gli appelli per fermare la mano del boia lanciati da varie organizzazioni non governative a partire dalla scorsa settimana, quando era stata programmata l’esecuzione della donna, posticipata poi a ieri mattina. Sabzian Fard aveva trent’anni e si trovava in carcere da quando ne aveva 19. Fu arrestata con l’accusa di avere ucciso suo marito nel 2014, insieme ad altre due persone ritenute complici, tra cui la sorella 14enne che poi è stata liberata in seguito al pagamento di una cauzione. All’epoca dell’omicidio, la coppia aveva due figli che al momento dell’arresto sono stati dati in custodia ai genitori del padre. Samira ha potuto vederli per la prima volta in 10 anni di carcerazione soltanto nei giorni scorsi, poco prima dell’esecuzione della condanna a morte. Mentre si trovava in prigione, la donna aveva deciso volontariamente di non vedere i figli, che oggi hanno 10 e 17 anni, con la speranza di essere perdonata dalla famiglia del marito ucciso ma i parenti dell’uomo non hanno mostrato alcun segno di clemenza. Secondo il Codice penale della Repubblica islamica, coloro che sono ritenuti colpevoli di omicidio premeditato, come nel caso di Sabzian Fard, vengono condannati alla pena di morte per ‘qisas’ (concetto interpretabile come occhio per occhio), a prescindere dalle circostanze in cui il fatto è avvenuto.
Soltanto la famiglia della vittima può scegliere se accettare la pena capitale o rifiutarla chiedendo un compenso finanziario, ma i genitori del marito ucciso dalla donna avevano chiesto che la pena di morte fosse eseguita.