Mercoledì 24 Aprile 2024

L’Europa verso una Difesa comune. Serve un esercito di 5mila uomini

Dopo il caos afghano e il ritiro Usa, Bruxelles corre ai ripari. Il piano sloveno: forze rapide per le emergenze

Un momento di un'esercitazione della Brigata aeromobile Friuli dell’Esercito italiano

Un momento di un'esercitazione della Brigata aeromobile Friuli dell’Esercito italiano

Se ne parla da anni, concretamente è stato fatto un incerto e fino a oggi inutile passo avanti con i Battle Groups, ma di fatto l’Europa non dispone di una Difesa comune, capace di costruire un gigante militare che offra copertura strategica ai Paesi membri e tutelarli dal crescente isolazionismo militare americano. La crisi afghana ha riportato bruscamente a galla questa esigenza, sempre rimasta seminascosta nelle stanze della politica. Eppure ad oggi serve una svolta, un progetto nuovo adattabile alle esigenze delle missioni internazionali che veda l’Europa più autonoma. Altrimenti si affonda.

Attualmente la Ue dispone di due Battle Group di 1.500 uomini impiegabili a rotazione fra gli Stati e teoricamente pronti per l’impiego in aree di crisi, ma di fatto mai utilizzati. Serve l’unanimità per impiegarli, quindi non se ne è fatto mai nulla. E ciò fornisce l’idea di come l’Europa sia arretrata. I Paesi membri, Italia compresa, sono storicamente al traino della potenza statunitense. La domanda che aleggia fra i governi e i vertici militari torna con forza dopo il disastro afghano: è possibile allestire un esercito europeo autonomo, pur non indipendente dalla Nato?

"Oggi come oggi, non è possibile pensare ad un esercito comune nel vero senso della parola perché non esiste una federazione di Stati – dice il generale Giorgio Battisti, primo comandante del contingente italiano incardinato nella Missione Isaf in Afghanistan e veterano delle missioni all’estero – e perché è sempre mancata la volontà politica. E soprattutto l’impiego dei Battle Groups non è mai stato possibile perché serve l’unanimità dei membri Ue. E poi bisogna individuare obiettivi precisi ai quali destinare i fondi. La Ue sta fornendo finanziamenti a pioggia per gli obiettivi militari. Così non serve a nulla"

Dice ancora il generale: "I 27 Paesi della Ue dovrebbero costituire una struttura con un vertice unico e una normativa di impiego. La Ue non ha nemmeno autonomia nell’intelligence e deve chiedere di volta in volta informazioni ai singoli Paesi". La Slovenia, che ha la presidenza di turno Ue, spiega per bocca del proprio responsabile della Difesa, Matej Tonin, ciò che molti ormai pensano. Serve una forza di almeno 5mila uomini da ampliare fino a 20mila a seconda del teatro di impiego. Le istituzioni Ue decidono quanto e dove attivare le truppe, ma senza l’unanimità. A seconda delle necessità i Paesi volenterosi agiscono senza forzare gli altri". Tradotto: se, per esempio, serve un intervento in Libia ci saranno governi che hanno interesse a partecipare per esigenze economico-strategiche, tipo Francia e Italia, e altri a cui non passa nemmeno per l’anticamera del cervello come Danimarca o Norvegia.

"La lezione afghana insegna – aggiunge Tonin – che la Ue deve essere un attore globale. Servono tre cose: una difesa efficace, una diplomazia che parli una voce sola e un’economia forte. Sull’economia ci siamo, sui primi due punti bisogna lavorare". Gianandrea Gaiani, esperto di questioni militari e direttore del sito web Analisi difesa: "L’Esercito europeo non può essere previsto come forza armata unificata per cui i singoli governi agiscono in proprio cercando di unire le forze dove ci sono interessi comuni. La Francia ha lanciato la missione attuale nel Sahel in funzione antiterrorismo jihadista coinvolgendo, fra gli altri, l’Italia. Oggi la cosa più concreta sono i progetti comuni come il Tempest, ovvero il caccia a cui lavorano Italia, Svezia e Gran Bretagna, che sarà pronto nel 2030, idem il progetto Fcas, sempre finalizzato alla realizzazione di un caccia, fra Francia, Germania e Spagna".

Dunque si va verso una forza di intervento rapida più snella superando anche la resistenza di Francia e Germania, abituate a una forte autonomia decisionale, che oggi sembrano più morbide verso questa soluzione. Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera ha ammesso ieri a Bruxelles che bisogna recuperare il terreno perduto.

L’Europa è rimasta indietro, vittima della propria lentezza decisionale. "Gli europei devono svegliarsi e assumersi le proprie responsabilità, perché gli Usa si stanno sempre più disinteressando dei conflitti globali". Borrell il 16 novembre presenterà al Consiglio dei ministri della Difesa la proposta dei 5mila soldati europei. Bene, ma intanto il numero è troppo esiguo. Tra i 50mila di cui si parlò negli anni Novanta e i 5mila di oggi serve una onorevole via di mezzo. Se non si organizza una struttura di comando con meno vincoli e priva dell’unanimità di voto, siamo daccapo. E la ministra della Difesa tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer abbandonando il neutralismo tedesco ha rilanciato il ricorso all’articolo 44 del Trattato dell’Unione, finora mai utilizzato, che permetterebbe la partecipazione alle missioni in base alla volontà degli Stati.

Ma il nodo da sciogliere è la decisione unanime del Consiglio anche se non tutti sono costretti a partecipare. E così non si va da nessuna parte. Le scelte militari europee nel mondo che vive all’ombra del terrorismo islamico hanno necessità di meno burocrazia. Non è come decidere gli ingredienti comuni della cioccolata o del vino.