Mercoledì 24 Aprile 2024

Letta di lotta non salverà il Pd a colpi di diktat

Raffaele

Marmo

Si dice che si nasce incendiari e si muore (metaforicamente) pompieri, per sottolineare come il passare degli anni raffini posizioni, tesi, impostazioni ideologiche, magari anche il carattere. E così da rivoluzionari si diventa riformisti, mediatori e moderati.

Non pare essere il caso di Enrico Letta. Il Letta Uno, prima dell’esilio francese a Sciences Po, era un economista riformatore di matrice democristiana (della scuola tecnocratica di Beniamino Andreatta). Un felpato giovane cattolico (nipote di cotanto zio) abituato fin dalla più tenera età a frequentare le stanze del potere, degli Esteri e del Tesoro, o i centri studi più sofisticati come l’Arel. Fino ad assurgere a braccio destro di Romano Prodi a Palazzo Chigi, prima di entrarvi direttamente come premier.

Il Letta Due, quello che torna da Parigi chiamato come un esorcista a ridare vita al Pd dopo l’esperimento giallo-rosso del Conte Due, è un altro Letta, il gemello più anziano ma anche più incendiario, una sorta di alieno radicaleggiante, ai limite dell’estremismo, ideologico e barricadero. Lontano anni luce dell’interclassimo della migliore Dc.

Non bastassero le battaglie di bandiera in piena pandemia su ius soli, voto ai sedicenni e patrimoniale sulle successioni dei presunti ricchi, il capolavoro, il Letta di lotta più che di governo, lo ha realizzato sul disegno di legge Zan: non manca giorno in cui non lanci il diktat "nessuna mediazione, prendere o lasciare". Ma se pensavamo di avere visto tutto l’hard-lettismo, ci siamo sbagliati: il nostro, lancia in resta, si è buttato nella mischia contro i cambi di casacca in Parlamento. Una proposta tardo-grillina, populista fuori tempo massimo, che fa rivoltare nella tomba i padri della Costituzione, fieri difensori del divieto del vincolo (questo sì fascista) del mandato imperativo. E pensare, per paradosso, che qualche mese fa, da Oltralpe, sosteneva il Conte tre a base di "responsabili" raccogliticci.