Mercoledì 24 Aprile 2024

Letta brinda, ma l’Ulivo 2.0 ancora non c’è

Il segretario Pd: "Il risultato delle amministrative è un trionfo che celebro senza trionfalismi. Dobbiamo costruire un campo largo"

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di Ettore Maria Colombo

ROMA

"Cinque a zeroooo!". Nel Pd fanno i salti di gioia. Prima al Nazareno, dove la gioia esplode incontenibile, con tanto di selfie buoni per i social e Gualtieri che irrompe in conferenza stampa. Poi, a piazza Santi Apostoli per festeggiare: sul palco salgono, oltre al neo-sindaco di Roma, Roberto Gualtieri ("Enrico sarà la sorpresa dei prossimi anni", dice), Enrico Letta, Goffredo Bettini e Nicola Zingaretti, etc. etc. La piazza scelta prima dall’Ulivo e poi dall’Unione non è affatto casuale. Lo dice, apertis verbis, il segretario del Pd: "Santi Apostoli è un bel luogo, evocativo".

"È un trionfo, il 5 a 0 – dice Letta –, ma "lo dico senza trionfalismi" (sic!). E poi: "Gli elettori si sono saldati, ora dobbiamo costruire un campo largo", noto come Ulivo 2.0 (o 4.0, dipende). Si festeggia, certo, l’elezione di Stefano Lorusso a Torino, dem di provata fede, che ha vinto senza i 5 Stelle, come Gualtieri a Roma. Non si festeggia, per un pelo, a Trieste, dove il lettiano Francesco Russo perde di un soffio, ma il Pd diventa primo partito. Si festeggia pure a Isernia, Cosenza, Latina, Varese, culla della Lega. Insomma, tranne Trieste (e Benevento) è un trionfo e, nel Pd, c’è euforia. Ma ovviamente e soprattutto si festeggia per Roma. Poi, però, c’è il ‘dopo festa.

Cosa accadrà ora? Letta, premesso che "il Pd non è più il partito della Ztl, abbiamo vinto nelle periferie", dice che "Conte sta gestendo bene una fase complicata nel M5s": insomma, tende la mano all’alleato. In casa pentastellata, infatti, è già psicodramma. Conte pone l’accento sul "vero vincitore dei ballottaggi, il drammatico astensionismo" e incita i suoi: "Non c’è da parlare, ma da fare, e molto". Ma i suoi scalpitano e, dalle truppe parlamentari, si preparano nuove fughe (venti persone circa) per il gruppo misto. Molti parlamentari gli rimproverano, rabbiosi, che "ora che Letta apre l’alleanza a Renzi e Calenda, lui che farà?". Luigi Di Maio, di default ’diplomatico’ ("i cittadini hanno scelto"), è lì, dietro l’angolo, pronto a ghermire la preda ferita.

E Matteo Renzi, leader di Itali viva, già intinge la penna nel fiele: decreta "la fine del tempo dei 5 Stelle, il sovranismo non paga, il populismo grillino e destrorso si può sconfiggere". Già, ma con chi? Il Pd vuole un’alleanza "larga", da Calenda a Conte.

Letta prende di mira solo il centrodestra. Con uno sfottò: "Spero che la destra non tiri nessuna conclusione e la linea sia quella Salvini. La cosa migliore...". "Ha pagato la coerenza del Pd, sul Green Pass", spiega il leader dem, puntellando il governo Draghi. Ma dice anche, pur ribadendo che "di Quirinale si parlerà a gennaio", che "il presidente della Repubblica deve essere eletto con la più larga maggioranza possibile, lavoreremo per questo". Due notizie nella stessa frase: Mattarella non accetterà alcun bis, rassegnatevi, e serve una "larga maggioranza" per eleggere il successore. Tradotto, vuol dire, però, scrivere un "patto tra gentiluomini" con il centrodestra. Non sarà facile, ma Letta ci vuole provare, forte del 5 a 0 di ieri.

Tutto il resto, dipende. E, cioè, nell’ordine, se Draghi andrà al Colle, ci sarà un nuovo governo, magari a guida Franco, che rassicuri l’Unione europea, scavalli l’autunno, scriva la nuova manovra e che faccia pure maturare la pensione ai parlamentari? Forse. Ma, se Draghi andrà al Colle, i desiderata dei riformisti dem – che vedrebbero bene lui, non Letta, come leader del centrosinistra, nel 2023 – andranno frustrati. Con Draghi al Colle, potrà essere Letta il candidato premier dell’Ulivo 2.0. Con i 5 Stelle nel ruolo di junior partner. E il congresso del Pd? Senza voto anticipato, Letta lo ‘chiamerà’ entro la fine del 2022 per farsi consacrare leader pure dal bagno delle primarie.