Giovedì 25 Aprile 2024

L’effetto domino delle rivolte femminili

Matteo

Massi

Nika, 17 anni, cantava anche. C’è un video che la ritrae mentre intona una canzone del 1968 tratta dal film Soltan Ghalbha (tradotto: Re di cuori), una canzone d’amore, quando Khomeini era ancora in esilio. Quella canzone le è costata cara. Ha pagato quell’atto di pura normalità con la morte. Troppo alto era l’affronto al regime teocratico degli ayatollah. Ma la protesta in Iran, nonostante la repressione nel sangue, non si è fermata. Né violenza né sangue possono bloccare un processo inevitabile in cui vengono messi sotto accusa i principi su cui si regge l’Iran teocratico. A guidare queste proteste sono le donne. Una rivolta femminile, ma non solo. Impensabile fino a poco tempo fa.

Un passo indietro ora: a un anno e mezzo fa. Nel pieno del Ferragosto occidentale i talebani riprendevano il potere in Afghanistan dopo che Joe Biden aveva deciso di riportare a casa i militari americani. Missione finita. Nel frattempo però la reputazione dei talebani non era affatto cambiata. E nel giro di poco tempo l’Afghanistan è ripiombato nell’incubo e nel terrore che aveva già ampiamente conosciuto. Ma c’è sempre un atto che cambia completamente quella che – a un occhio da osservatore disattento – può sembrare l’inerzia. Quell’atto è arrivato l’altro giorno con i talebani che hanno chiuso le Università alle donne. E ciò che è accaduto con le prime proteste di settembre in Iran, per ricordare Mahsi Amini massacrata fino alla morte solo perché portava male il velo, si è materializzato anche in Afghanistan. Ieri le donne sono scese in piazza a Kabul contro quel divieto, incuranti di ciò che avrebbe potuto riservar loro il destino: frustate, bastonate e carcere.

La canzone di Nika a un certo punto fa così: "Una parte del mio cuore mi dice di andare, andare. L’altra parte mi dice di restare, restare". Nika e le altre, sia in Iran sia in Afghanistan, hanno deciso di restare. E combattere per la libertà.