L’educatore ex detenuto "I miei anni al Beccaria I giovani si salvano con un progetto di vita"

Daniel Zaccaro: gli errori, i crimini, la cella. Poi la laurea e il riscatto "Ai ragazzi evasi dico: tornate dentro, qualche adulto crederà in voi. Anche io sono scappato: vivevo di adrenalina senza nulla da perdere"

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di Simona Ballatore

"È successa la stessa cosa dieci anni fa: evasione più incendio. Unica differenza: fu uno solo a scappare dalle impalcature e non sette. Quando salta il coperchio si dice che il Beccaria ha un problema, ma i problemi sono strutturali, a cominciare dai cantieri infiniti". Daniel Zaccaro, 30 anni, era un detenuto (prima al Beccaria e poi a San Vittore), oggi è un educatore. "Ero un bullo", racconta nel libro di Andrea Franzoso, ripercorrendo gli anni più bui di risse e rapine prima della svolta.

Fuga di Natale, per alcuni di loro a due passi dalla libertà, che adesso si allontana. Perché?

"È una generazione che vive di adrenalina, schiacciata sul presente. Sono affascinati dall’evasione, ma poco consapevoli. Non credo avessero strategicamente deciso un piano di fuga, non avevano condanne pesanti. Credo sia stato dettato dall’impulsività. Per mantenere una vita da latitanti servono un sacco di soldi... Per ragazzini di 18 anni conta solo il qui e ora".

Cos’è scattato quindi?

"Provo a mettermi nei loro panni: in mezzo a quel gruppetto, appena entrato in carcere forse sarei uscito anch’io. Dopo no, ho scelto pure di restarci per studiare. Cosa mi spinge così tanto a scappare? Il non avere nulla da perdere. Con un progetto cambia tutto".

Anche lei è stato un fuggitivo, è scappato due volte dalle comunità. Ma non dalla Kayròs con le porte aperte. Perché?

"Si scappa quando si sa che domani non cambierà nulla, che non c’è una promessa di futuro per cui valga la pena lottare e farcela. Quando anche in carcere, nel luogo più oscuro, sai che non c’è nessuno che punta di su te, fare un altro reato – l’evasione è un reato – non ha importanza. Ho sentito stamattina don Claudio (Burgio, ndr). Tanti si sono defilati, non hanno voluto partecipare. Non è tutto marcio. Credo sia l’occasione per riflettere su come stanno i giovani".

E come stanno?

"Non si conoscono, sono distaccati dalla realtà. Si anestetizzano con le droghe perché hanno paura di vivere in questo eterno presente. Il bene richiede impegno verso l’altro, il male è più facile. E affascina".

Sono i protagonisti della fuga di Natale, come in un film.

"Ovvio, ma scontato. Interroghiamoci su quale educazione e trascorsi abbiano questi ragazzi. Spesso, per dirla male, sono prodotti degli adulti".

Quando c’è stata la sua svolta?

"Ho passato momenti oscuri, ero pieno di rabbia. Non riuscivo a esprimere le emozioni. Quando non si trovano le parole resta la violenza, quando non sai reggere un incontro resta lo scontro. Ci sono arrivato dopo un sacco di tappe che mi hanno fatto male. La paura e l’amore mi hanno fatto fermare: mi spaventava quella vita che non cambiava mai. Mi hanno fatto rimettere in gioco un brigadiere della penitenziaria, don Claudio, una prof in pensione. Adulti credibili, che hanno creduto in me".

Cosa diresti ai tre fuggitivi?

"Tornate dentro. Suonate il campanello. Non c’è un copione già scritto. Ci sono adulti che si interesserebbero a voi, non fa tutto schifo. Paghereste i conti con la giustizia, certo, ma potrebbe essere una ripartenza".

Nel decreto sicurezza si parla di stretta alle baby gang, daspo e divieto di cellulari. Cosa ne pensa?

"Ai provvedimenti serve una proposta educativa all’altezza. Giusto invece riparare il danno: commetti un reato contro le persone? Ti mando a fare volontariato, ti insegno a stare in relazione con le persone. Anche in carcere ci sono attività: un tempo obbligatorie, non potevi stare a letto. Ora si può scegliere, rinunciare liberamente. Ecco, su questo siamo tornati indietro. Il fare fa".