Sabato 20 Aprile 2024

Lea Garofalo, il paese la ricorda. Ma il killer della vittima di mafia torna a casa

Viaggio in ricordo della Garofalo, uccisa per aver svelato i traffici di famiglia Crotone, deposta una pietra d’inciampo nel borgo in cui è nata. Qualche giorno prima il marito ergastolano ha avuto un permesso

Lea Garofalo era nata il 24 aprile 1974. È stata uccisa a Milano il 24 novembre 2009

Lea Garofalo era nata il 24 aprile 1974. È stata uccisa a Milano il 24 novembre 2009

Petilia Policastro (Crotone), 30 agosto 2022 - All’ingresso del paese – Petilia Policastro, diecimila anime ai piedi della Sila, in Calabria – un cartello recita ‘Città del coraggio femminile’. È il primo di una serie di monumenti che da qualche anno costella il percorso che porta fino in piazza Filottete, nome retaggio di una Magna Grecia ormai troppo lontana nel tempo. Simboli di lotta e resistenza: il secondo è un grosso masso spezzato in due da un piccolo sasso, a testimonianza del fatto che nessuna sfida è invincibile, il terzo è una donna in apnea che nuota verso la superficie.

La donna sullo sfondo di ogni monumento è Lea, come Leonessa, nata Garofalo: la famiglia di Antonio e Floriano, la cui faida con i Mirabelli per il controllo del territorio insanguinò per anni la frazione di Pagliarelle. Lea da quel contesto scappò ancora adolescente a Milano. Una fujitina , come si dice da queste parti. Solo che beccò male. Il marito, Carlo Cosco, non estraneo a quel contesto, oggi sconta l’ergastolo per averla strangolata con un cordino e poi bruciato il corpo nel 2009.

Testimo ne di giustizia, mamma di Denise – che sarà poi parte civile nel processo contro il padre – Lea Garofalo era uscita dal programma di protezione dopo aver rivelato i traffici di droga del marito a Milano e i dettagli della guerra di mafia di Pagliarelle. Era sola, braccata e alla fine aveva chiesto aiuto proprio a Cosco. Lo stesso che già almeno due volte aveva tentato di farla fuori. La prima volta in carcere, durante un colloquio, per essersi ribellata a lui, e la seconda a Campobasso, attraverso un finto tecnico della lavatrice mandato a strangolarla.

Carlo Cosco poche settimane fa è ritornato a Pagliarelle. Era la prima volta da quando è in carcere per l’omicidio di Lea. Un permesso di poche ore per visitare l’anziana madre. Il mezzo che lo trasportava ha raggiunto la casa di famiglia senza incrociare nessuno dei monumenti dedicati a Lea. Questione di percorsi: la strada più breve che da Crotone arriva a Pagliarelle non attraversa l’abitato di Petilia. Si inerpica, piuttosto, lungo il territorio lunare di San Demetrio, pieno di grotte basiliane che furono covo di briganti un tempo, e di cui oggi non resta traccia.

E di Lea, cosa resta? Poche ossa, ritrovate anni dopo a San Fruttuoso, Monza. E il ricordo del suo coraggio. "Era una donna fiera", racconta Vincenza Rando, la sua avvocata, vicepresidente nazionale di Libera. "Leggeva tutto, si informava, voleva sapere. E si infiammava in un attimo, come quando la chiamavano ‘collaboratrice di giustizia’ e lei urlava: ma io non ho fatto niente, io sono una testimone!".

L’incontro con Libera, spiega, avvenne a Firenze. Lea era sotto protezione, ma voleva uscirne, insoddisfatta. Così avvicinò i relatori di un incontro sulle mafie e disse loro: "Ho bisogno di voi". Libera la sostenne, ma non riuscì a fermarla quando si convinse che, per il bene di Denise, doveva decidersi a incontrare il suo ex marito. "La pregai di non farlo – ricorda Rando –. Le mandai l’ultimo messaggio mentre era in treno diretta a Milano: “Sei partita davvero?“ “Sì, sono a Piacenza“. “Scendi subito, ti vengo a prendere“". Lea rispose: "Stai tranquilla" ed è l’ultimo suo messaggio.

"Aveva deciso – considera l’avvocata –, e oggi so che l’unico modo per fermarla sarebbe stato legarla. E forse non sarebbe bastato". Lo stesso coraggio ebbe poi per due volte la figlia Denise. La prima quando, sparita sua madre, Denise costrinse il padre ad andare a sporgere denuncia e lì, con un’occhiata, fece capire a un carabiniere che le cose non andavano bene. La seconda fu quando, tornata a Pagliarelle e divenuta maggiorenne, scelse di presentarsi da sola in caserma ed entrare nel programma di protezione.

Oggi Denise ha un’altra vita e un altro nome, ma non dimentica quello di sua madre. Lo scorso 19 agosto un suo messaggio è arrivato a Pagliarelle, dove l’associazione ‘Progetto di vita’ ha posizionato una pietra d’inciampo per Lea alla presenza di sindaco, carabinieri e cittadini. Lo ha letto Marisa, sorella di Lea: "Non ho mai parlato di mia madre come avrei voluto – ha scritto Denise –, e non ho mai amato chi ha cercato di idealizzarla. Lei era umanamente imperfetta, ma ha dato la vita per permettermi un futuro dignitoso. Aveva una risata liberatoria. Come se ridendo potesse liberarsi dai suoi dolori, e oggi io vivrò per lei".

Lea amava la Calabria e amava il mare, sorride Marisa. "Da oggi, per la prima volta, una pietra ne ricorda il nome nella sua Pagliarelle". C’è scritto: Lea Garofalo, uccisa per mano della ‘ndrangheta. Ed è proprio sul sagrato della chiesa, l’unica chiesa del paese. Impossibile da evitare.