di Roberto Giardina "Meglio vivi che eroi morti", dichiara Zelensky, mentre dall’acciaieria di Mariupol vengono portati via 264 combattenti feriti. È stato possibile grazie a una tregua concordata con il comando russo. Ma gli ultimi difensori ancora in forze resistono e rifiutano la resa. "Mariupol sono le Termopili del XXI secolo", dichiara Mikahylo Podolyak, uno dei consiglieri del presidente ucraino. Sotto l’aspetto militare il paragone con i greci, che nel 480 a.C. bloccarono l’esercito persiano, è sbagliato. Fu una battaglia, non un assedio, ma gli ucraini esaltano il valore dei loro uomini. Mariupol potrà cadere, ma una sconfitta si trasforma in vittoria, esaltando il coraggio di un popolo. Ha ragione anche Zelensky: Mariupol è già un simbolo, si è ottenuto un risultato incredibile, tuttavia i combattenti non vanno trasformati in martiri. Il destino degli ultimi irriducibili dell’Azovstal resta un’incognita. Per la verità anche quello dei ’salvati’. "I combattenti dell’acciaieria Azovstal di Mariupol saranno trattati in linea con le leggi internazionali", ha affermato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov citato dalla Bbc. Lo stesso che, però, ha rifiutato di commentare lo status delle truppe evacuate e non ha risposto alla domanda se i soldati ucraini saranno trattati come criminali di guerra o come prigionieri di guerra. L’assedio della città sul mare ricorda altri assedi nella storia, e quasi sempre hanno prevalso gli assedianti. Troia cadde solo dopo dieci anni, come canta Omero, ma solo grazie all’inganno di Ulisse. Da bambino mi colpì un film di propaganda americano, ’Wake, l’isola della gloria’. Nel dicembre ’41, una dozzina di marines sull’isola tra le Hawai e le Filippine resistono a migliaia di giapponesi e muoiono senza arrendersi. Una finzione hollywoodiana. Nella realtà erano oltre 500 e, saggiamente, si arresero. Wake come Alamo, pochi contro molti, come vuole il mito americano. Il forte, esaltato da romanzi e ...
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