Le sfide della politica Meloni alla prova su fisco e riforme Pd nel guado, sogna la rinascita

Blindati i conti con la manovra, il nuovo anno vedrà il governo alle prese con i cambiamenti strutturali. Per l’opposizione il nodo sono i Dem: dall’esito del congresso dipendono i rapporti con Terzo polo e M5s

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di Raffaele Marmo

Il 2023 sarà il banco di prova decisivo della leadership di governo di Giorgia Meloni. Ma sarà anche il tempo della resurrezione del Pd o del suo definitivo declino, con il corollario di una diaspora, più o meno silenziosa e carsica, che vedrà i quadri di quel partito spostarsi verso l’area, radicale, dei 5Stelle di Giuseppe Conte o verso quella, moderata e centrista, di Carlo Calenda e Matteo Renzi.

Dunque, dopo un 2022 di significativi stravolgimenti politici, comincia una fase non meno rilevante dal punto di vista dei possibili effetti. Una fase che troverà, a sua volta, un traguardo e un momento di verifica nelle elezioni europee del 2024: perché quelle regionali, imminenti, in Lombardia e Lazio, per quanto significative, appartengono comunque al clima del 2022. Mentre è al passaggio della consultazione continentale che fin da ora i protagonisti del sistema (quelli attuali e quelli che arriveranno) guardano con apprensione o con speranza perché dal risultato di quel voto dipenderà il loro destino.

Meloni, innanzitutto. A meno che variabili esterne (guerra e pandemia in primo luogo) non stravolgano completamente il corso delle cose, la premier, per evitare di deludere e di determinare spinte centrifughe nella sua stessa maggioranza, dovrà evitare di galleggiare e imboccare decisamente, come ha avvisato, la strada delle riforme. E se riuscirà anche solo a mettere in cascina la metà di quanto annunciato, potrà cambiare l’assetto dell’Italia per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi trent’anni: dalla giustizia, al fisco, dalla Pubblica amministrazione, alle opere pubbliche, fino al presidenzialismo

Il 2023 dovrà essere inevitabilmente l’anno dell’avvio concreto dei molteplici "cantieri". Pena l’altrettanto inevitabile perdita di credibilità, con il rischio di mettersi lungo quella deriva che ha già travolto, nei consensi, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi nel passato.

È più complesso, al contrario, ipotizzare la prospettiva del Pd. È evidente che molto (ma non tutto) dipenderà dall’esito del congresso del partito.

La dicotomia Bonaccini-Schlein non è una usuale contesa tra due candidati che si riconoscono nella stessa carta dei valori e delle identità: siamo di fronte a due "mondi" lontani, se non opposti, con due piattaforme programmatiche distanti, che guardano a differenti alleanze. Dunque, se questa è la premessa, di sicuro solo il collante del potere (finché ci sarà, almeno a livello locale) potrà tenere insieme vincitori e vinti a fine partita. Ma, come si comprende, al di là delle preventive dichiarazioni di principio sul non dividersi "dopo", l’attrazione del radicalismo contiano o, all’opposto, del riformismo centrista di Calenda e Renzi sarà fatale per gli "sconfitti" se solo quel collante, come si può prevedere, continuerà a non fare presa.

L’evoluzione dei 5 Stelle e quella di Azione-Italia Viva è, del resto, connessa alle mosse e ai sommovimenti dentro il Pd. Una vittoria della Schlein favorirà certamente la ricostituzione di un asse tra quel che resta del Nazareno e il grillismo contiano, così come un successo di Bonaccini avrebbe lo stesso effetto ma rispetto al Terzo Polo. Ma per quest’ultimo raggruppamento non è secondaria la prospettiva riformatrice della Meloni sia sul versante istituzionale sia su quello della giustizia. Su entrambi i fronti le sirene della premier possono trovare attento ascolto e, addirittura, consenso in casa di Renzi e Calenda.

E così, tirando le somme, il 2023, dopo dodici mesi di sussulti, tensioni e sconvolgimenti, si presenta come l’anno del "grande gioco incrociato": è una partita differente e nuova, nella quale le azioni concrete e le scelte operative faranno premio sulla propaganda.