Le Regioni contro i medici di base: ora la riforma

Gli assessori chiedono una nuova organizzazione del settore: inquadrati come chi lavora in ospedale. Ma i sindacati alzano le barricate

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Le cure primarie in Italie hanno bisogno di un cambio di passo. Un recente sondaggio, commissionato dalla stessa Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg) a Euromedia, rivela che il 36,3% dei pazienti dice che è difficile rintracciare il proprio medico di famiglia e il 10,3% riesce a contattarlo con grande difficoltà. Ma se sulla necessità di migliorare l’assistenza il consenso è unanime il dibattito, anche alla luce dei finanziamenti previsti dal Pnrr, ora verte sul come riuscirci. È in tale scenario che gli assessori alla Salute delle Regioni hanno firmato un documento che, mettendo in luce le criticità, traccia le linee di una riforma del sistema.

"Il profilo giuridico del medico di medicina generale e del pediatra, liberi professionisti convenzionati, non è idoneo ad affrontare il cambiamento in atto" affermano gli assessori evidenziando come la convenzione non contempli "un sistema di valutazione che abbia delle effettive ricadute e possa costituire un incentivo". Per tale ragione le Regioni propongono "un modello che richiami regole chiare e attività esigibili, con sistemi di monitoraggio e remunerazione legati a risultati di salute e attività svolte". Gli assessori sottolineano, inoltre, come gli accordi nazionali sottoscritti a sostegno delle azioni delle regioni per fronteggiare la pandemia, su tamponi, vaccinazioni, test rapidi, abbiano prodotto "scarsi risultati".

Al centro della proposta vi è il progetto di strutture che consentano un raggruppamento di medici tale da consentire un punto di riferimento per le necessità dei cittadini, le cosiddette ‘Case della comunità’ previste dal Pnrr. Ma, anche in questo caso, per le Regioni la convenzione con i medici di famiglia rischia di non garantire, a fronte di un notevole investimento, i risultati auspicati.

"Credo che, in molti casi, la percezione della potenzialità che ha il medico di famiglia sia limitata da tutta una serie di orpelli burocratici e dalla mancanza di coordinamento con gli altri servizi – ha commentato il segretario generale Fimmg, Silvestro Scotti –. È un problema che esiste in Italia e dobbiamo interrogarci su quale possa essere il sistema migliore per integrarci con gli ospedali e gli specialisti". Assolutamente contraria a un cambio di stato giuridico che renderebbe i medici di famiglia – attualmente sottoposti a un obbligo di presenza in ambulatorio di 15 ore alla settimana per 1500 assistiti – dipendenti del sistema sanitario nazionale, la Fimmg auspica "un sistema integrato" che, agendo sulla convenzione, consenta di "mantenere il rapporto fiduciario con il cittadino".

"C’è bisogno di una nuova organizzazione della sanità territoriale su questo non c’è dubbio – spiega Carlo Palermo, segretario nazionale Anaao Assomed –. Le Case della comunità devono garantire un primo approccio per i codici a bassa priorità che attualmente si riversano nei pronto soccorso assorbendo circa il 15% del lavoro. Ma la soluzione non è ‘mal comune mezzo gaudio’".