Mercoledì 24 Aprile 2024

Le purghe di Xi Eliminati tutti i rivali L’ex presidente portato via di peso

Il leader fa piazza pulita nel Comitato centrale. Hu Jintao rimosso in diretta: "Cosa mi fate?". L’egemonia dell’uomo forte di Pechino è assoluta: "Taiwan mai indipendente. Stupiremo il mondo"

di Cesare

De Carlo

Un’immagine dice più di mille parole. Pare l’abbia detto Mao Tse Tung. In realtà è un antico proverbio cinese e ieri proprio a Pechino se n’è avuta la conferma quando Hu Jintao, ex presidente, è stato sollevato di peso e trasportato fuori dalla Grande Sala del Popolo. Era seduto proprio vicino al suo successore Xi Jinping e stando al video non avrebbe gradito quella che sembrava una rimozione forzata. Anzi. Ha 79 anni. Dieci di più dell’uomo che ieri, a conclusione del XX Congresso del partito comunista cinese, ha eliminato ogni potenziale rivale. Il primo era appunto Hu. In passato aveva osato ricordare la regola dei due mandati voluta dall’inventore e artefice del paradosso cinese, Deng Xiaoping, di colui cioè che aveva fatto del marxismo-leninismo la gabbia ideologica entro cui calare la via cinese al capitalismo. Due mandati da Segretario generale del partito – aveva stabilito – per evitare le dittature a vita come quella di Mao.

Ieri invece di mandati Xi ne ha avuto un terzo. Sarà sempre lui il Segretario generale. E questa è la carica più importante. Più importante di quella di presidente della Commissione militare centrale e ancora di più di quella di Presidente della Repubblica Popolare che gli verrà conferita a marzo. Non a caso i media di regime quando parlano di Xi, lo definiscono leader del partito. Che sia anche capo dello Stato è secondario nell’organigramma totalitario. Diversa la percezione all’estero. In Occidente prevale l’appellativo di Presidente come accade nella normalità di qualsiasi Paese democratico. Ma la Cina comunista non è un Paese normale e tanto meno democratico. La finzione sa di alibi per chi sbarca da quelle parti. Xi ha celebrato la sua onnipotenza, modificando la Costituzione ed eleggendosi a ’nucleo del partito’. Non ha fatto fuori solo il povero Hu che nel passargli accanto lo ha toccato ad una spalla, quasi volesse chiedergli "ma cosa stai facendo?". Ha fatto fuori seppur senza violenze fisiche il primo ministro Li Keqiang vietandogli la ricandidatura. E così il boss del partito a Guangdong Wang Yang, che dall’ala meno intransigente era visto come un futuro possibile segretario generale. Poi ha purgato i nomi dei 205 membri del Comitato Centrale in rappresentanza di 96 milioni di attivisti. Stessa cosa fra i 25 membri del Politburo e i 7 membri dell’esclusivo, potentissimo Comitato permanente. Insomma la sua egemonia è assoluta. Persino più di quella del mitico Mao, che a un certo punto per rinsaldarla dovette lanciare la cosiddetta rivoluzione culturale. Ebbene di quella rivoluzione condotta dalle guardie rosse nel fanatismo del famoso libretto, i genitori di Xi erano stati vittime. Furono condannati a morte salvo vedersi trasformata la pena in prigione a vita. La sorella si suicidò.

Oggi mezzo secolo dopo il persecutore di allora appare il modello di ora. Xi nel discorso conclusivo ha celebrato i "miracoli della Cina del paradosso". Due soprattutto: la riduzione della povertà grazie all’ibrido capitalismo di Stato e il prestigio internazionale che fa della Cina la seconda potenza economica del pianeta con il proposito ribadito di sorpassare gli Stati Uniti. Ma oggi nel più turbolento anno dalla fine della prima guerra fredda, quella con l’Urss, il traguardo appare più lontano. Una nuova guerra fredda si è materializzata. Anzi due. Una fra la Russia di Putin e i Paesi della Nato. E un’altra, molto più minacciosa, fra la Cina comunista e gli Stati Uniti. Tra le cause principali Taiwan: Xi ha fatto mettere nero su bianco che l’isola non sarà mai indipendente.

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