di Viviana Ponchia I giudici di Parigi il 13 maggio avranno una bella gatta da pelare. Devono dirimere la contesa fra il valente scultore francese Daniel Druet e il nostro Maurizio Cattelan, citato in giudizio per 5 milioni di euro. Cattelan, sostiene Druet, non si è mai degnato di citare il suo nome nei cataloghi e nelle mostre anche se è lui l’esecutore materiale di nove statue alla base delle opere più celebri dell’artista abituato agli scandali. Si parla della Nona ora in cui Giovanni Paolo II viene schiacciato da un meteorite, battuta all’asta da Christie’s nel 2001 per 886 mila dollari, oggi circa un milione. O di Him, nota anche come l’Hitler di Cattelan (pagata poco più di 30 mila euro e poi rivenduta da Christie’s per 17 milioni di dollari), dove il dittatore con un corpo da bambino è inginocchiato in preghiera e ha gli occhi commossi. Gli artisti mediocri imitano, i grandi rubano. Chi lo diceva, Picasso? La questione è dubbia, ma di certo qualcuno negli anni ’60 lo ha sentito ammettere: "Quando c’è qualcosa da rubare, io rubo". Guernica per esempio: improvvisa ispirazione o furto del Trionfo della morte di un anonimo catalano del XV secolo? Ha rubato, diciamo così, Jeff Koons, condannato l’anno scorso per il plagio di un’immagine realizzata dal fotografo Franck Davidovici. E addirittura Andy Warhol potrebbe essere accusato post mortem di violazione del copyright per il ritratto di Prince soffiato alla fotografa Lynn Goldsmith. Il fisico Erwin Schrödinger nobilitava l’idea del furto intellettuale: "Quello che conta non è tanto vedere ciò che nessun altro ha ancora visto, ma pensare ciò che nessun altro ha ancora pensato riguardo a quello che chiunque vede". E anche Goethe era indulgente: "Un grande maestro ha usato sempre ciò che c’era di buono nei suoi predecessori. Ed è stato ...
© Riproduzione riservata