Le "ombre russe". Una campagna elettorale partita con troppi veleni

Rivelazioni su presunti contatti con Mosca e accuse di "neofascismo". Il dibattito tra i partiti non è sui programmi. E gli elettori sono spaesati

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Ai congressi democristiani di cinquant’anni fa, quando a noi cronisti veniva consegnato il volume della relazione del segretario politico (perché era un volume), il suo portavoce avvertiva: "Salta pure le prime cinquanta pagine. È politica estera…". Nel mondo diviso in due blocchi, noi stavamo di qua. Punto. Nel mondo frammentato della post globalizzazione le cose si sono complicate e bisogna fare i conti da capo. Ma l’aggressione russa all’Ucraina e la sorprendente rinascita della Nato deve cancellare fatalmente le sfumature. L’Italia deve essere atlantica senza se e senza ma. Questo non significa impedire qualunque tentativo di negoziato. Ma i binari debbono essere stretti e chiari. Perciò Salvini – sulle cui buone intenzioni non nutriamo dubbi – sbagliò a non informare Draghi sull’ipotesi del suo viaggio in Russia. E per evitare ogni equivoco, è bene che in campagna elettorale sia il capo della Lega che Silvio Berlusconi ribadiscano senza possibilità di equivoco la loro posizione atlantica.

Detto questo, occhio alle aggressioni. Premetto di non essere sospettabile di ondeggiamenti: Volodimyr Zelensky mi fatto sapere di aspettarmi a braccia aperte a Kiev a guerra finita per quanto ho detto al più famoso conduttore televisivo russo, amico personale di Putin. Scusate la colpevole ingenuità, ma i diplomatici stranieri come raccolgono le informazioni da trasmettere nei loro rapporti?

Volete che l’ambasciatore, poniamo, giapponese non abbia interpellato un suo contatto per sapere lo stato di salute del governo Draghi? Per quanto ne sappiamo, un diplomatico russo ha chiesto se i ministri della Lega si sarebbero dimessi. Non ne avrebbe sollecitato le dimissioni, anche se queste gli avrebbero fatto molto piacere. È questa la differenza tra una domanda e una interferenza. Altro scandalo: Berlusconi ha telefonato all’ambasciatore russo Razov e questo gli ha vomitato addosso la litania anti Zelevsky che conosciamo a memoria. Anche qui, sarebbe gravissimo se il Cavaliere gli avesse dato un briciolo di ragione. Ma, allo stato, non risulta.

Raccomandata dunque a tutti la massima prudenza, il clima che si respira non è gradevole. Ogni volta che il centrodestra sembra avvicinarsi a una vittoria – tutta da conquistare, peraltro – scoppia il pandemonio, come se il popolo che vota da quella parte fosse un gigantesco gregge al seguito di un manipolo di golpisti incapaci.

Ricordate il Cavaliere Nero del ’94? Berlusconi aveva osato sdoganare Fini (e Bossi). Poi quando Fini tentò di fargli la festa (e in qualche modo alla fine ci riuscì) diventò così immacolato che perfino la casa di Montecarlo diventò un innocuo fringe benefit. Berlusconi aveva fatto appena in tempo a diventare padre della Patria – per aver perso potere – che adesso ne fanno la quinta colonna di Putin nella maggioranza. E la Meloni? In ottimi rapporti con Draghi, legittimata oltre ogni misura da Letta (Sandra & Raimondo forever) diventa all’improvviso per una élite assai potente il coperchio di un maleodorante secchio di spazzatura neofascista. È questa la democrazia?

Che peccato. Perché invece non far decidere gli elettori sulla base di programmi precisi? Riprendiamo l’agenda Draghi e ciascuno proponga che cosa tenere, che cosa auspicabilmente migliorare e che cosa buttare. Così capiremo finalmente qualcosa di concreto.