Mercoledì 24 Aprile 2024

Le notti alla Capannina. "Ray Charles? Amico. Qui l'ultima volta della Fallaci al mare"

Gherardo Guidi: "La scrittrice ordinò le acciughe e andò in acqua. A Briatore mandai champagne e gli dissi che non avrei mai venduto"

Il patron Gherardo Guidi con Asia Argento davanti alla Capannina alcuni anni fa

Il patron Gherardo Guidi con Asia Argento davanti alla Capannina alcuni anni fa

Zazzera argentea, sagacia e ironia da toscano doc, sobrietà e memoria salda: la Capannina è Gherardo Guidi e viceversa. Se vuoi rileggere i decenni ruggenti della Forte dei Marmi che fu e che tuttora è – e l’attuale ripresa sprint post pandemia sta lì a dimostrarlo – non puoi prescindere da questo self made man che ha osservato e partecipato da protagonista indiscusso alle mille e una notte del jet set internazionale da fine anni Settanta in poi.

Come si diventa Gherardo Guidi? «Lavorando con serietà. Ho cominciato giovanissimo, grazie al mio babbo che aveva un buon cervello e che acquistò per me un locale in crisi del paese, Castelfranco di Sotto: la Sirenetta. Avrei dovuto fare l’ingegnere chimico, ero bravo. Ma avevo la passione della musica, suonavo la batteria, avevo fatto anni di solfeggio, il metodo Bona.. Mi mise alla prova: se riesci a farlo rendere... Andò bene e da lì ci sono stati locali a Firenze, a Bologna, tre in Versilia, tra i quali la Bussola». Parliamo di quali anni? «L’esordio molto giovane tra la fine dei Cinquanta e i Sessanta». Scusi, ma lei quanti anni ha? «Ah non l’ho mai detto, sono un settantenne stagionato. Non è questione di vanità. Ma sa, a parte gli acciacchi, non ho una ruga... Diciamo che sono nato durante la guerra». La sua è stata una vita intensa, piena di incontri con gli artisti internazionali più famosi, una clientela aristocratica e dell'altissima borghesia, dagli Agnelli, ai Moratti, a principi, marchesi e conti... Tutto il bel mondo frequentava la Capannina. «Una vita di lavoro molto lunga, con sempre al fianco mia moglie Carla, e anche fortunata. Ma nel mio lavoro niente è stato facile, perché nessuno ti insegna come si fa a gestire un locale. Devi fare da solo e, sì, il talento serve. Ma ci vorrebbe davvero anche una scuola». Certo, dal dancing di Castelfranco di Sotto alla Capannina di Franceschi, un locale mitico già negli anni Trenta, deve essere stata una grande soddisfazione. E un grande salto. «Beh all’inizio, era il 1977 quando presi la Capannina, ero un po’ intimorito data la fama che aveva. Ho dovuto attrezzarmi, imparare». Ad esempio? «Ad esempio a fare il baciamano alle nobildonne clienti fisse. Guai a sbagliare con quella marchesa fiorentina... L’etichetta era tutto». Clienti capricciosi? «L’importante era mettere sempre tutti a loro agio. Farli star bene. Se uno faceva i capricci veniva invitato con garbo e fermezza ad accomodarsi». E’ successo anche con un suo futuro e famosissimo concorrente: Flavio Briatore. «Una sera mi dicono che c’è un cliente che sta ballando sul tavolo. Io non sapevo chi fosse, L’hanno invitato a scendere e lui ha detto che il locale poteva comprarselo. Gli ho risposto che non era in vendita». Poi è arrivato il suo Twiga... «Non me lo rammenti. Mi sono impegnato, perché la concorrenza era forte, c’era da toccarne. Dagli anni Novanta in poi bisognava fare attenzione». E’ lì che è cambiato il modo di divertirsi? «Sì è cambiato tutto, soprattutto tra i giovanissimi. I maleducati e gli eccessi sono sempre esistiti, ma se una volta bastavano 3 o 4 persone per tenere sotto controllo un locale, ora ne servono 20 o 30». E la villeggiatura a Forte dei Marmi com’è cambiata? «Forte dei Marmi è diventata una grande boutique, ma il fascino è intatto. Qui si viene ancora per fare la villeggiatura, come una volta». Intanto sono arrivati i magnati russi... «A loro piace Forte dei Marmi, ma la loro presenza non l’ha trasformata. Restano un mese, anche due. E il commento è sempre ’Very good’. Vede il Forte ha sempre avuto un fascino particolare, un fazzoletto di due chilometri per due verde, tranquillo, pulito, con ville splendide. Ed è sempre stato amministrato bene. Sì, è vero, non è per tutte le tasche, ma anche questo fa parte del suo fascino. Ma ci possono venire tutti anche per fare una passeggiata e prendere un gelato. E’ una città della bellezza». Volle venire anche Oriana Fallaci per toccare il mare un’ultima volta. E venne da lei. «Sì al mio bagno, le piaceva il Roma di Levante. Era già molto malata, chiese di mangiare le acciughe sfilettate perché il suo stomaco era ormai molto delicato e dopo mi domandò se l’accompagnavo a toccare l’acqua un’ultima volta. Fu toccante, struggente, ma la vidi felice in quel momento. Poi restammo a lungo a parlare. Una donna che mi ha affascinato, anche se non sempre ero d’accordo con lei. La ringrazio di aver trascorso con me quella serata, una delle sue ultime...». E tra gli artisti ospiti della Capannina, un incontro indimenticabile? «Ray Charles. Per me un mito assoluto. Era a suo agio, mi raccontò di quando era diventato cieco a 8 anni dopo aver visto morire il fratello per una caduta. Questi incontri sono unici». Non sarà stato il solo. Un altro di grande soddisfazione? «Aver puntato i piedi con i fratelli Vanzina quando mi chiesero la Capannina per ’Sapore di mare’. Il cast non mi convinceva. Misi la condizione: o ci sono Virna Lisi e anche Claudia Cardinale o non se ne fa di nulla. E Virna Lisi accettò. Una donna che ho tanto ammirato, anche per le scelte fatte nella sua vita. Per la famiglia rinunciò all’America dove poteva avere tutto. Mi ha raccontato un sacco di cose». Lei ha sempre puntato in alto, ma qualche volta non l’ha spuntata. «Due volte: volevo portare alla Capannina Ella Fitzgerald. Ci provai per tre anni di fila. Ma aveva il diabete e stava sempre  peggio. Il suo agente la prima volta mi disse: la signora sta male, le hanno amputato un piede; la seconda: le hanno amputato la gamba; la terza: le hanno amputato anche l’altra gamba... Ma ce n’è stato un altro ’no’ da parte di un grande». Quale? «Yves Montand, Ivo Livi originario di Monsummano. Il suo agente mi disse un no secco: dopo la fuga in Francia perché suo padre era antifascista, aveva deciso che non sarebbe mai venuto a cantare in Italia». E tra i rimpianti, che cosa metterebbe? «Ma, forse Sanremo. L’ho frequentato tanto il festival, collaboravo, potevo entrare nella squadra degli organizzatori, ma declinai, chissà...». E i rapporti con la politica? Andrà a votare? «Sì andrò. Da me sono passati tutti i politici. Io sono sempre stato un democristiano, di centro. Mi offrirono la candidatura alla Camera nel 1982 nel collegio di Massa. Ero tentato. Ma poi andai da De Mita e due giorni prima dell’ufficializzazione declinai. De Mita mi disse, deluso, che avrei potuto pensarci prima. Ma il mio mestiere era un altro. E’ stato bene così. Le istituzioni mi hanno dato comunque importanti riconoscimenti, prima con l’onorificenza di commendatore da giovane e, sa, all’epoca essere cummenda contava. Poi con quella di grande ufficiale della Repubblica, unico commendatore ad averlo ottenuto».  Prossimo obiettivo? «Festeggiare tra cinque anni i 50 anni della mia Capannina che detiene il record di locale più antico del mondo. Mah, vedremo, ci sarò ancora?».