Le nostre vite scandite dai telecomandi

Viviana

Ponchia

Cercare di cambiare canale con il telecomando del condizionatore non è un dramma, ma un segno dei tempi. Ne abbiamo dappertutto, possiamo attraversare momenti di buio e ritrovarci con quindici gradi anziché su Netflix. Il controllo da remoto è stato un grande passo per l’umanità, liberata dalla fatica di alzarsi dal divano, illusa dall’idea che quel saltare da fermi da un programma all’altro fosse libertà. Ma l’umanità, che per natura tende all’abitudine, quando avanza verso il progresso fa confusione. E alla fine si trova ad arrancare dietro a un progresso che non concede tregua. Chi non sa gestire con disinvoltura una media di sette telecomandi è spacciato.

Quanti avranno il coraggio di buttare immediatamente quello vecchio perché è arrivato lo switch off, quindi nei casi estremi un nuovo televisore? Potrebbe sempre servire. Non è vero, ma resta lì. Quanti conservano ancora il coso impolverato attribuito un tempo a un videoregistratore, che per chi avesse dimenticato era quella macchina che consentiva uno streaming d’antan, inghiottiva cassette e a volte non le risputava più? Sì, c’è stato un tempo, nemmeno vent’anni fa, in cui avevamo un videoregistratore. Ed eravamo contenti così, con il film scelto emozionati da Blockbuster da mandare avanti e indietro semplicemente schiacciando un pulsante, senza nemmeno dovere confessare allo schermo intelligente se ci era piaciuto o no. Per pigrizia, scaramanzia o anche semplice nostalgia non abbiamo smaltito il suo attributo, sopravvissuto per farci sentire inadeguati: e questo a cosa serve? Mia nonna non capiva o non si fidava, le sue dita si incartavano sui tasti del volume. Alla fine si alzava a schiacciare il bottone giusto e già che c’era dava anche una sistematina all’antenna. L’antenna, capite? A fine anni Ottanta, non durante le guerre di indipendenza.