Giovedì 18 Aprile 2024

Le mani dei clan sulla Toscana Indagati manager e politici Pd

Inchiesta Dda per infiltrazioni della ’ndrangheta. Nei guai il potentissimo capo di gabinetto di Rossi e Giani

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di Stefano Brogioni

La polvere bianca e un’altra sostanza, scarto delle lavorazioni delle concerie del distretto di Santa Croce sull’Arno. Droga e rifiuti: così la ’ndrangheta fa affari in Toscana. Ma l’inchiesta della Dda di Firenze (22 arresti, decine di indagati) è una bomba, perché nelle carte di una triplice indagine che ha visto collaborare carabinieri del Ros, del Noe e Forestali, accanto a personaggi come Domenico Vitale e Nicola Chiefari, contigui al clan Gallace, ci sono politici e associazioni di conciatori.

Il sindaco Pd di Santa Croce, Giulia Deidda, è indagata e inserita in un’associazione per delinquere che, secondo i pm Giulio Monferini ed Eligio Paolini, si sarebbe organizzata per aggirare le leggi sullo smaltimento dei fanghi e influenzare la politica. Tra gli indagati (corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio) il capo gabinetto della Regione, Ledo Gori, il direttore del settore Ambiente, Edo Bernini (abuso d’ufficio) e il consigliere regionale Pd, Andrea Pieroni (corruzione).

Decapitati i vertici dei conciatori: ai domiciliari, in esecuzione di un’ordinanza del gip Antonella Zatini, il presidente dell’Associazione Conciatori Alessandro Francioni, l’ex direttore Piero Maccanti e il suo successore Aldo Gliozzi. In carcere Francesco Lerose, crotonese domiciliato a Pergine Valdarno, gestore con moglie e figlio di due impianti, a Pontedera e Levane. Sarebbe stata sua l’idea di cedere il "keu" (il prodotto finale del trattamento dei fanghi di conceria) a un’altra impresa infiltrata dalla ’ndrangheta che stava costruendo la variante della Sr 429.

Così sotto la nuova strada tra Empoli e Castelfiorentino sarebbero finite 8mila tonnellate di terra pregna di cromo. Lerose è l’anello di congiunzione con il secondo filone dell’inchiesta, in cui una storica impresa del Mugello, la "Cantini Marino", si sarebbe impadronita del mercato con metodi mafiosi perché infiltrata dalle ’ndrine a loro volta padrone del porto di Livorno, snodo del traffico internazionale di droga, disarticolato nel terzo segmento della maxi inchiesta.

Un’indagine, quest’ultima, nata da un ritrovamento, nel 2017, di alcuni zaini pieni di cocaina che galleggiavano in mare davanti agli stabilimenti balneari.

Ma il salto di qualità di questa inchiesta della Dda guidata da Giuseppe Creazzo sta nella definitiva contaminazione tra esponenti vicini ai clan calabresi, stabilmente trapiantati in Toscana, e l’imprenditoria, quest’ultima contigua a sua volta alla politica. Nelle intercettazioni, emerge il potere dei conciatori e la loro influenza anche in chiave elettorale. La sindaca di Santa Croce avrebbe fatto pressioni sul presidente Giani affinché Ledo Gori, già capo gabinetto con Rossi, restasse al suo posto, com’è poi è stato. "A me il Giani – dice la Deidda al telefono, raccontando di un incontro con il futuro governatore toscano –, quando gli ho fatto il lavaggio del cervello, lui si è messo a sede’ gli ho detto: per questo territorio mi devi dì una cosa ed una sola: dove c... sta Ledo? Per noi è dirimente e mi ci metto anch’io".

Gori, per i pm, aveva l’obiettivo di mantenere le promesse fatte ai conciatori (che avevano promesso voti in cambio della conferma del capo di gabinetto) e rimuovere Alessandro Sanna, funzionario regionale ostile agli interessi degli imprenditori di Santa Croce. I conciatori erano riusciti ad ottenere anche una legge sullo smaltimento favorevole, grazie agli emendamenti presentati dal consigliere regionale Pieroni.