Le insostenibili promesse nell’urna

Roberto

Pazzi

Mi pare sia stato quel consumato politico di Andreotti a fare proprio un luogo comune, e che cioè a pensare male si è cattivi, ma spesso si coglie la verità. L’effetto di avvicinamento al 25 settembre è infatti quello di sentire sempre più insostenibili le promesse dei leader dei partiti in lizza per dividersi la facoltà di decidere dei nostri destini. E di poter immaginare i giorni successivi alla proclamazione dei risultati come quelli in cui si dissolveranno, come scritti nel libro dei sogni, i propositi dei vincitori. Le promesse elettorali, soprattutto economiche, si stanno gonfiando come le pretese della vanitosa rana di una favola di Esopo sulla rana e il bue, in gara a chi fosse il più grosso dei due animali. Per poter vincere la rana si gonfiò, si gonfiò, fino a scoppiare. Non costa niente promettere oggi. Domani poi ci si schermerà di fronte alla mole dei problemi ereditati dai governi precedenti: anche questa del lascito è una panzana a cui il vincitore ricorre quasi sempre, travolto dalla mole delle difficoltà. Sullo sfondo resta una figura salvifica, quella di Mario Draghi, aureolato dalla caduta per le trame di Conte, che non gli ha mai perdonato di averlo sostituito. La fantasia corre a scenari oggi avveniristici, ma si sa che il tempo nella sua corsa contribuisce a rendere realistici molti di quelli che parevano sospesi fra sogno e utopia. E pure da varie parti, ascoltando la gente parlare quando non si accorge di essere ascoltata, nei treni, nei bar, per la strada, si avverte un filo rosso che congiunge i mugugni. I vincitori delle elezioni, divisi da tutto, in devoto pellegrinaggio a Città della Pieve, a chiedere a Draghi, come i romani antichi a Cincinnato, di tornare in qualche modo al governo. Pirandello sosteneva Mussolini perché preferiva un solo bugiardo a tanti. Una lezione amara, ma che ha qualche scaglia di verità.