Le (finte) teste di Modì al museo. Quando la beffa diventa arte

Sgarbi all’epoca non cadde nella trappola: «Ma ora le ho volute esporre al Mart di Rovereto»

Pietro Luridiana, Pierfrancesco Ferrucci e Michele Ghelarducci

Pietro Luridiana, Pierfrancesco Ferrucci e Michele Ghelarducci

Firenze, 10 novembre 2021 - «Ventiquattro luglio 1984. A Livorno, nel Fosso Reale, vengono trovate due teste. Una scoperta memorabile, di risonanza mondiale: gli esperti e i critici d’arte, i maggiori, da Giulio Carlo Argan a Cesare Brandi, da Enzo Carli a Jean Leymarie, furono unanimi, in slanci di entusiasmo, nell’attribuire queste opere incompiute, pietre sbozzate, ad Amedeo Modigliani».

Torna indietro con la memoria, Vittorio Sgarbi, che ha voluto inserire quelli che poi si sarebbero rivelati falsi, alla mostra in corso al Mart di Rovereto (fino al 9 gennaio 2022), incentrata sulla figura di Alceo Dossena, artista cremonese che, con le sue sculture, ha buggerato molti dei più blasonati musei del mondo. 

«Perché questa scelta? Quei falsari dilettanti stregarono l’Italia - spiega il critico - . Tutto il mondo credette al ritrovamento delle opere buttate. Dovettero essere loro,tre studenti universitari in vena di scherzi, sull’onda di Amici miei, a svelare la loro burla, dissolvendo una grande illusione collettiva, che non immaginavano di determinare». 

Però tanti critici ci persero la reputazione. «Non io, dissi che le teste erano talmente brutte che e sarebbe stato assai opportuno ributtarle nel fosso - riprende Sgarbi - . Eppure ho deciso di inserirle in una sezione della mostra elevandole al rango di vere opere d’arte».

Con grande soddisfazione dei diretti interessati: «Amati o odiati, siamo passati alla storia: pubblicati nel catalogo Bolaffi prima, in mostra al Mart oggi», sorride Pier Francesco Ferrucci, con Michele Ghelarducci e Piero Luridiana autore della testa di pietra attribuita a Modì. L’allora ventenne goliardo protagonista di una burla capace di incrinare la credibilità dei più autorevoli storici dell’arte è diventato uno stimato oncologo, direttore Unità di Bioterapia dei Tumori, Istituto Europeo di Oncologia di Milano. «Nessun pentimento - sottolinea - . Era solo uno scherzo e, nonostante le forti ripercussioni, ancora oggi quella vicenda mi fa sorridere».

Ma è vero che ha inserito la “beffa“ nel suo curriculum? «Sì, niente segreti, meglio dirlo subito. Ma nella mia carriera non c’è solo quell’episodio, ho fatto cose di una certa importanza anche in campo medico».  

Ha parlato di ripercussioni, di quale tipo, professore? «Quella storia ci creò parecchi problemi, a partire dall’università, a Pisa, dove studiavo all’epoca. Qualcuno non ce l’ha ancora perdonata... ci hanno accusati perfino di aver fatto tutto per denaro: in realtà gli unici soldi che prendemmo, per la vendita di una delle nostre teste, li abbiamo dati in beneficenza».  

Nemmeno con la pubblicità? «Quando si scoprì che le teste erano false, l’azienda produttrice del nostro “strumento di lavoro“ lanciò la campagna “è facile essere bravi con Black & Decker“. Sa cosa ci abbiamo guadagnato? Un bel trapano. Ma sto portando avanti un progetto».   

Ovvero? «Nel corso degli anni ho utilizzato la storia per raccogliere fondi creando la Fondazione Grazia Focacci, onlus per la ricerca oncologica e per il supporto a pazienti/famiglie. Il sogno? Portare le “teste“ sul grande schermo: è tutto pronto, manca solo il produttore».