Mercoledì 24 Aprile 2024

Le falle dell’omicidio stradale Morte di Miriam, la rabbia del padre "Chi l’ha investita è già libero"

Il ragazzo ha solo il divieto di non uscire la notte. L’Asaps: pene dimezzate, non c’è più l’effetto deterrente

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di Giovanni Rossi

"Mi sento trattato come una bestia". Giovanni Ciobanu, papà di Miriam, la 22enne romena uccisa martedì notte nel Trevigiano dal 23enne Alessandro Giovanardi, risultato positivo ad alcol e droga alla guida del suo suv, affronta rabbia e stupore. La decisione del gip di Treviso, su proposta della procura, di depotenziare la misura cautelare all’obbligo di dimora con divieto di uscita dalle 20 alle 6 del mattino, sconcerta la famiglia e gli amici della ragazza. "Hanno rimandato a casa una persona che, ubriaca e drogata, guidava la macchina a forte velocità: come un’arma. Potevano almeno aspettare che facessimo i funerali lunedì", osserva il padre.

La scomparsa di Miriam, falciata nel mezzo della carreggiata dopo essere fuggita alle 4 di notte dalla casa del fidanzato, addolora un’intera comunità e reitera le domande dell’opinione pubblica sulla sicurezza nelle strade e sull’assenza di risultati dall’avvento – nel 2016 – della legge sull’omicidio stradale. I dati Istat 2021 sono impietosi: 2.870 vittime stradali (+20% rispetto al 2020). "L’effetto deterrente della legge (ndr, fino a 12 anni di reclusione aumentati di un terzo nei casi di guida in stato di ebbrezza grave o con alterazioni da stupefacenti) è svanito – certifica Giordano Biserni, presidente dell’Asaps (Associazione sostenitori e amici della polizia stradale) –. Le pene sono dimezzate se la colpa del guidatore non è esclusiva. Gli avvocati fanno il loro lavoro e così, anche grazie ai patteggiamenti, raramente le pene superano i quattro anni. I condannati vanno ai servizi sociali e finisce lì". Ma al di là dell’ampia discrezionalità dei giudici (ribadita da Cassazione e Consulta), il problema sicurezza resta. Secondo il presidente dell’Asaps, "l’Italia non sta investendo in prevenzione".

Anche in questo caso le statistiche sono illuminanti. Un italiano rischia di eseguire la prova dell’etilometro una volta ogni 38 anni (uno svedese ogni due). Ed è principalmente per questo che latitano le denunce per guida in stato di ebbrezza (solo 31mila nel 2021) e anche i controlli antidroga su strada (poco più di 4mila l’anno, sempre per l’Istat). Eppure l’esperienza dice che circa la metà dei sinistri gravi ha come concausa l’uso di droga o di alcol o l’infausta abbinata. "Un dato forse sottostimato – avverte Biserni – perché, se il conducente muore, a meno di autopsia (non obbligatoria) non sapremo mai se era ubriaco o drogato". Il 2022 non aiuta: "Da gennaio l’Asaps conta 70 omicidi stradali dovuti, con certezza, ad alcol e droghe. Senza contare i pirati che, anche se scoperti nel 70% dei casi, riescono magari a evitare l’aggravante posponendo i test".

Per il giurista Vittorio Manes, "siamo di fronte a un cortocircuito tra la gestione mediatica del tema ’omicidi stradali’ condotta dalla politica, e gli esiti nei tribunali spesso diversi rispetto alla severità delle pene brandita per corrispondere alle comprensibili emozioni dell’opinione pubblica. Perché poi i magistrati applicano la legge nella sua interezza". E a un uomo come Giovanni Ciobanu, che chiede perché l’assassino di sua figlia sia già libero, la Consulta risponderebbe secondo diritto: "Se per i giudici non c’è rischio di fuga, di reiterazione del reato o di inquinamento delle prove, manca – riassume Manes – l’extrema ratio per la misura cautelare degli arresti". Anche se è quasi impossibile raccontarlo a chi ha appena perso una figlia.