Giovedì 25 Aprile 2024

Le balere, il teatro, gli amori maledetti di Milva Così la ‘rossa’ della canzone stregò il mondo

L’artista di Goro è morta a 81 anni. Da brividi l’esibizione a Berlino dopo la caduta del Muro. Recitò Brecht come nessuna, non vinse mai Sanremo

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di Massimo

Cutò

Una ragazza di vent’anni, graziosa, che camminava scalza tra le vie di Torino portando le scarpe nella borsetta per non sciuparle. Veniva da Goro, paesino del Delta padano. Cantava nella balere della Bassa ferrarese. La mamma voleva chiamarla Milva, il parroco s’impose e fu battezzata come Maria Ilva Biolcati: "Questa bambina deve avere almeno una santa protettrice". Una santa forse no, un santo sì. Anzi, un pigmalione: Maurizio Corgnati, regista e produttore discografico, il talent scout che ne intuì subito le possibilità smisurate. E se ne innamorò a dispetto dei 22 anni di differenza. Si conobbero nel ‘59 negli studi Rai torinesi, due anni dopo si sposarono e nel ‘63 ebbero una figlia: Martina, oggi affermata critica d’arte, accanto a sua madre fino alla fine. Così la piccola provinciale cominciò a volare. Ma come si fa a raccontare una donna come Milva? Una carriera di mezzo secolo sui palcoscenici di tutto il mondo: 80 milioni di dischi venduti e 173 album incisi. Icona della musica leggera italiana, interprete che ha stregato la Scala, l’Olympia di Parigi e il Piccolo di Milano, attrice che ha recitato Brecht come nessuna. Commendatore della Repubblica, Legion d’onore francese, Ufficiale al merito in Germania – il pubblico tedesco folgorato dai Lied eseguiti in lingua originale. Ed è la stessa che per 15 volte ha cantato a Sanremo: "Sapete quanti Festival ho vinto? Nessuno", polemizzava. Fino al risarcimento del premio alla carriera voluto da Baglioni. Milva ha costruito se stessa su una voce eccezionale: contralto di grande estensione, duttile, sonorità unica. Il resto, l’aura, il carisma sono venuti dopo, un tassello alla volta, imparando dagli uomini che ne hanno plasmato la personalità. Morricone, Berio, Vangelis, Theodorakis, Battiato, Astor Piazzolla. E naturalmente Giorgio Strehler e Paolo Grassi, che l’hanno iniziata al teatro di Brecht. "L’arte dev’essere continua ricerca. Bisogna studiare, attingere dal passato e modellare il sentimento, le emozioni e il gusto del presente", è stato il suo manifesto. A cui si è attenuta con fedeltà. Fin dai tempi del pokerissimo della canzone: la pantera di Goro, la tigre di Cremona (Mina), l’aquila di Ligonchio (Iva Zanicchi), l’usignolo di Cavriago (Orietta Berti) e Ornella Vanoni, l’altra musa di Strehler. E poi la fede politica. Jannacci compose per lei La Rossa, ispirata non solo al colore di quella chioma straripante. Portò Bella ciao a Canzonissima, spaccò la hit parade con La filanda, presentò Uomini addosso all’Ariston sfidando le convenzioni.

Il trionfo storico resta però la notte di Berlino, a pochi mesi dalla caduta del Muro: Alexander Platz cantata fra i brividi della folla alla Porta di Brandeburgo. Successi artistici punteggiati da pagine dolorose: gli amori sbagliati. "Corgnati è stato la persona più importante della mia vita e l’ho lasciato facendolo soffrire", ammetteva. Era il 1969, Milva fuggì con l’attore Mauro Piave (ucciso misteriosamente a revolverate dieci anni dopo): "Volevo un uomo della mia età". L’opinione pubblica non la perdonò, poi la tregua con l’avvento del filosofo Massimo Gallerani "bello, intelligente e speciale": la relazione finì per contrappasso, lui le preferì una giovane compagna.

L’occasione giusta sembrava Luigi Pistilli, raffinato interprete brechtiano, ma non fu così. Minato dalla depressione si impiccò, con accanto un biglietto per lei: "Ti chiedo perdono". Milva ha chiuso il sipario nel 2010 con una confessione pubblica di straordinario coraggio: "Per anni non ho avuto giorni di ferie, mai. E il mio corpo mi ha presentato il conto a 71 anni". Ha affrontato la discesa seduta in poltrona, con la sigaretta fra le dita, pensando al palcoscenico che – parole sue – mi manca sempre e mai. La sua risposta alla vita sta in un cavallo di battaglia: "Keine stunde, tut mirleid", neppure un’ora rimpiango.