Le amiche della dodicenne "Parlavamo di ucciderci"

Ivrea: ragazzine unite dallo stile emo si confrontavano su come farla finita. Il racconto choc fa perdere consistenza all’ipotesi della sfida estrema su TikTok

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di Viviana Ponchia

Ritrovarsi ai giardinetti a parlare di morte. La propria. A dodici anni. E intanto cominciare un pezzo alla volta, dalle braccia soprattutto, sfregiandole con la lametta o il temperino. Potrebbe avere avuto inizio così la discesa all’inferno della ragazzina di una frazione di Borgofranco di Ivrea che domenica sera si è impiccata a una mensola nella sua cameretta con la cintura dell’accappatoio. Da una chiacchierata all’aria aperta fra coetanee. Niente chat, nessun collegamento per ora con le piattaforme social come TikTok. "Non sembra emergere l’elemento della sfida", conferma il procuratore Giuseppe Ferrando. E comunque non è una buona notizia.

È stato aperto un fascicolo a carico di ignoti ipotizzando il reato di istigazione al suicidio. Ma sono state due amiche a raccontare degli incontri in cui anziché parlare di primi amori ragionavano in tre sul suicidio. Doveva essere un piano comune, un rito per andarsene insieme cementato dallo stesso disagio nascosto alle famiglie. Solo una è arrivata fino in fondo. Nella sua stanza questa bambina infelice non ospitava bambole ma poster di musicisti suicidi. E richiami al mondo esoterico. Da un passato neanche troppo lontano, ma che sembra già preistoria, tornano in un angolo di provincia piemontese l’ombra gotica e l’autolesionismo di cui era impregnata negli anni Novanta la cultura emo. Qualcuno li ricorda: adolescenti sull’orlo della denutrizione con ciuffi esagerati, naso e sopracciglia trafitti dai piercing, occhi alla Picasso sottolineati dalla matita nera. E una visione fieramente drammatica dell’esistenza, la convinzione nichilista che la vita non valga la pena di essere vissuta. Essere emo, ha detto qualcuno, significa inventare ostacoli inutili per poterli superare. Anche a dodici anni. Anche in un periodo come questo, dove non c’è bisogno di immaginare niente. I sospetti per la tragedia di Baio Dora vanno in quella direzione mentre i carabinieri di Settimo Vittone cercano risposte sui telefonini e i computer della ragazzina, che però contro l’assoluto anti atletismo dello spirito emo giocava in una squadra di pallavolo.

In ’Everybody hurts: an essential guide to emo culture’, Leslie Simon e Trevor Kelley spiegano che lo sport implica un esibizionismo e una volontà di aggregazione inconciliabili con la loro tendenza alla misantropia. Bene il telefono, il letto e il divano (o i giardinetti?). Assolutamente impensabile un campo su cui si agitano tante persone. Ma è un mistero da risolvere, TikTok con le sue sfide demenziali o un rigurgito di filosofie decotte poco importa. Il sindaco Fausto Francisca aveva visto domenica la ragazzina trovata morta dal papà poche ore dopo: "Sembrava serena. La sera prima parlava del futuro e sembrava avere le idee abbastanza chiare". Il Comune e la scuola stanno organizzando incontri di assistenza psicologia in palestra per i 12 compagni di classe sconvolti. Negli anni Novanta nessuno di loro era ancora nato. Sanno di trap e non di hardcore punk, conoscono Ghali ma non hanno mai sentito nominare i Minor Threat.