Giovedì 18 Aprile 2024

Lavoro e salari: la sinistra non si arrocchi

Bruno

Vespa

Fa più rumore il fatto che dopo 27 anni un presidente del Consiglio sia tornato a un congresso della Cgil o che il primo premier di destra – una donna – non sia stata fischiata e alla fine perfino timidamente applaudita? Ieri a Rimini Giorgia Meloni non è arretrata su niente. Eppure rappresenta paradossalmente un terzo interlocutore per il mondo della sinistra dopo Elly Schlein e Giuseppe Conte. Mentre Conte resta spiazzato dal ‘furto’ del salario minimo toltogli dalla segretaria del Pd, Meloni ha fatto capire che con lei al governo non se ne parla. Non è meglio allora allargare il più possibile la contrattazione collettiva e gestirla in modo che non ci siano salari indecenti?

Dicono i sondaggi che il reddito di cittadinanza sta perdendo consenso anche a sinistra. Si può riflettere in maniera bipartisan se un trentenne disoccupato dopo tre anni di reddito sia più ricco o più povero, come si chiede la Meloni?

Per uno come me, cresciuto nel Miracolo Economico e anche nei ‘fantastici anni Ottanta’ (questi ultimi simbolo di grande crescita e grandi debiti) è molto doloroso vedere che i salari non crescono dal ’90 – "quando non c’erano i telefonini", come ricorda il premier – mentre in Francia e Germania sono saliti del 30 per cento. Bene, questa tragedia è di destra, di sinistra o dovrebbe coinvolgere tutti quanti in un gioco di squadra?

Non si può pretendere naturalmente che la Cgil e la sinistra sposino una politica fiscale di segno opposto. Ma è un fatto che tutte le ricette degli ultimi trent’anni non abbiano funzionato. Dunque?

Dunque, dinanzi a un governo che non arretra ma è disponibile a discutere, la rincorsa a sinistra tra Pd e M5s temo che porti a poco, tranne sottrarsi reciprocamente gente nelle piazze. Gli stessi sondaggi che tolgono punti a Conte per darli a Schlein lasciano intatta la somma, lontana dieci punti dalla maggioranza. E allora è meglio arroccarsi o discutere?