Giovedì 25 Aprile 2024

L’autonomia va solo gestita con buonsenso

Bruno

Vespa

Alla vigilia delle elezioni politiche del 2001, nel tentativo di sottrarre la Lega al ritrovato abbraccio di Berlusconi, i Democratici di sinistra fecero approvare la riforma del titolo V della Costituzione con soli tre voti di maggioranza. Presidente dei Ds era Massimo D’Alema, che già nel ’95 aveva sdoganato la Lega come ‘costola della sinistra’ in quanto nuovo partito operaio del Nord. Figlia di quella riforma è l’autonomia differenziata il cui embrione è stato approvato dal Consiglio dei ministri. Sorprende dunque la vibrata protesta della sinistra per una riforma che è anche figlia sua. Nel 2016 Matteo Renzi tentò di eliminarne alcune nefandezze (l’energia, elemento strategico di un paese, può essere gestita dalle regioni?), ma un referendum costruito male andò come andò. Di più: l’Emilia Romagna nel 20172018 fu lesta ad affiancarsi a Lombardia e Veneto nell’avviare il processo autonomista. Successivamente altre sette regioni (tra cui la Campania e il Lazio, governate dal centrosinistra) hanno fatto la stessa richiesta. Dunque? Passate le elezioni del 12 febbraio nel Lazio e in Lombardia, andrebbero deposte le armi e avviato un ragionamento di buonsenso. Giorgia Meloni ha una formazione centralista, ha rispettato un patto di governo, ma starà attenta a non buttare il bambino con l’acqua sporca. È scontato che senza garantire a tutti un servizio di base efficiente in ogni campo non si va da nessuna parte. Ma è giusto che chi ha una marcia in più possa correre senza che il viaggio degli altri venga rallentato. Ho parlato più volte con Luca Zaia e lui mi ha sempre ripetuto che autonomia significa spendere in proprio gli stessi soldi che oggi lo Stato spende nella sua regione. Non un euro in più a scapito degli altri. Oggi la sanità è già gestita dalle regioni e non è colpa delle regioni del Nord se nel Sud funziona peggio. Obiettivo del Sud è piuttosto evitare che centinaia di migliaia di cittadini vadano nel Nord a farsi curare.