Giovedì 25 Aprile 2024

L’autista di Berlinguer, una vita per il Pci

Addio ad Alberto Marani: era uno dei ‘compagni operai’ che garantivano la sicurezza dei leader (e ne custodivano i segreti)

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di Andrea

Fontana

Era il 1978 quando Alberto Marani, 24 anni, di Fossoli – frazione di Carpi, a 26 chilometri da Modena – fece i bagagli e partì per Roma, su richiesta di Botteghe Oscure. Aldo Moro era appena stato ucciso dalle Brigate Rosse. Marani, operaio e comunista, era stato chiamato a fare da autista e da scorta a Enrico Berlinguer. Con lui partì in treno un altro compagno carpigiano, Otto Grassi. Entrambi metalmeccanici, entrambi figli di partigiani. "Io e Alberto sapevamo di poterci fidare l’un l’altro, bastava uno sguardo per capirci – racconta oggi Grassi –. La fiducia era merce rara e molto, molto preziosa. Non dovevamo perdere mai di vista Berlinguer: era il nostro compito. Era essere al servizio del partito". Addestrati da qualcuno? "Non c’era addestramento per questo: sapevamo che dovevamo sempre tenere gli occhi aperti. A vent’anni non si ha paura: siamo partiti perché era il momento".

Alberto Marani, uomo schivo, è morto a Fossoli l’altro giorno, a 67 anni, senza mai raccontare granché degli anni con Berlinguer. Ripeteva che il suo era un "ricordo personale che nasce da un rapporto professionale quotidiano": il segretario Pci fu presente anche al suo matrimonio. Marani e gli altri come lui non erano uomini segreti. Ma uomini di segreti, forse, sì. Visti, ascoltati, e mai rivelati.

Ci sono tante leggende (e ogni leggenda nasce da una verità) sull’Emilia rossa, le sue violente estati del dopoguerra, i suoi misteri da Guerra fredda, e i troppi silenzi dopo la caduta del Muro. Personaggi fatti riparare in Cecoslovacchia, complici in oscuri delitti; e depositi segreti di armi nei casolari. Mica leggenda, appunto: l’ultima scoperta è di un paio di anni fa, in una casa da ristrutturare. Mitra e fucili americani e tedeschi, avvolti in stracci un tempo ben zuppi d’olio.

Ma agli occhi del partito, a Roma, quella stagione passò presto. Nel ’bipolarismo’ italiano Dc-Pci, dentro il quadro della Nato, il serbatoio emiliano non doveva fornire armati, ma personale di totale dedizione. Per ruoli a volte forse umili, ma delicati. Nella scorta di Palmiro Togliatti a Roma c’era un altro carpigiano: si chiamava Amos Giovanardi. Continuò il suo lavoro fino agli anni Settanta. Marani, dopo la morte di Berlinguer, nel 1984, restò a Roma. Dopo il Pci, il Pds. Continuò a fare l’autista per altri parlamentari. "Papà era sempre restìo a parlare in casa degli anni con Berlinguer – dice il figlio Giacomo – La riservatezza era una priorità e una forma di difesa in anni terribili. Solo quando sono stato più grande ha condiviso ricordi con me".

Gente fidatissima per segreti a volte imbarazzanti. A Modena nel 2011 è morto Aldo Togliatti, figlio di Palmiro: è stato tenuto lì in una clinica per malattie mentali per almeno trent’anni. Sulla porta della sua stanza il cognome non c’era, e ogni settimana un vecchio militante gli portava sigarette e Settimana enigmistica. Ogni federazione provinciale emiliana aveva militanti da mettere a disposizione quando il segretario nazionale arrivava da Roma: sempre gli stessi, pronti a chiedere le ferie dalle cooperative o dalle municipalizzate dove lavoravano. A Bologna ’l’autista di Togliatti’ abitava fuori porta Saragozza. Così lo chiamavano gli altri inquilini del palazzone dove viveva. Palmiro, quando veniva sotto le due Torri, voleva sempre lui.

In Comune a Bologna lavorava Giovanni Cois, capo dei cerimonieri che erano il filtro per l’anticamera del sindaco. Sardo, era figlio di un antifascista che era stato in carcere con Emilio Lussu. Un giorno portò un vassoio con frizzantino a Renato Zangheri, in ufficio con Berlinguer. Zangheri, indicandolo, disse: "Sai chi era suo padre?". Il sardo Berlinguer lo imparò e sgranò gli occhi. Fino al 1994 Giovanni Cois restò, in giacca blu, al suo posto in anticamera.