ALESSANDRO BELARDETTI
Cronaca

Si laurea con una tesi sui femminicidi, il riscatto di Maria Elisabeth: “Mia madre uccisa da mio padre davanti a me”

La neo dottoressa in Sociologia: "Avevo sei anni all’epoca, quel giorno mia madre mi disse ‘è giunta la mia fine’. Il perdono? Mai"

Maria Elisabeth Rosanò, 25 anni, coi genitori adottivi Mirella e Domenico
Maria Elisabeth Rosanò, 25 anni, coi genitori adottivi Mirella e Domenico

Catanzaro, 31 ottobre 2023 – Maria Elisabeth Rosanò aveva solo 6 anni quando ha visto l’orrore: suo padre che uccide l’amatissima mamma Anja davanti ai suoi occhi, e a quelli dei suoi due fratelli. "Dentro di me ho qualsiasi dolore, ma voglio trasmettere il sole agli altri", racconta con forza oggi, a 25 anni, dopo essersi laureata a Catanzaro in Sociologia con una tesi sui femminicidi, dal titolo ‘Violenza di genere nel contesto domestico calabrese’, dedicata alla sua Anja.

Che ricordi porta dietro di quei sei anni vissuti con sua madre?

"Io e lei giocavamo sempre, ero innamorata delle sue treccine. Lei adorava preparare i pomodori secchi: quando li metteva sul davanzale per farli asciugare, io andavo di nascosto a mangiarli. La facevo arrabbiare e lei si lamentava: ‘Ma cosa succede qui? Chi li mangia? Elisabeth sei proprio una monella’. Purtroppo l’ho vissuta poco, avrei voluto fosse a fianco a me alla discussione".

Quanto era agitata la notte prima della discussione della tesi?

"Non ho dormito, avevo un’ansia pazzesca. Alla fine però è andata molto bene, dopo pochi minuti mi sono sciolta. Fra tutti i dottorandi hanno applaudito solo me, perché portavo un tema diverso dai soliti, e ho preso il massimo dei voti".

Come è cresciuta in lei l’idea di compiere un lavoro così importante?

"Sin da quando ero piccola ho cercato di raccontare la mia storia a pezzi, perché dire tutto era troppo doloroso. Poi ho iniziato ad andare nelle scuole incontrando ragazzi in difficoltà che mi chiedevano aiuto. Nel 2020 hanno dedicato una panchina rossa a mia madre, così da quel momento mi sono aperta, riuscendo a vivere meglio il mio trauma. Condividere il mio dolore con altri mi aiuta a metabolizzarlo, così come sapere che posso aiutare altre donne".

Cosa ricorda di quel tragico giorno del 2005?

"Tutto, purtroppo. Ero solo una bambina, ma quel giorno dopo tantissimi liti, mia madre venne da me e mi confidò ‘è arrivata la mia fine’. Io non potevo capire cosa intendeva, ma lo ricordo come fosse ieri. Mio papà faceva il cacciatore, in casa aveva il fucile. Lo prese e davanti a noi figlioletti sparò a nostra madre. Lei cadde a terra, in una pozza di sangue. Poi io fui portata dai parenti e in seguito nelle case famiglia. Da quel momento sono diventata una pallina che schizzava da una parte all’altra".

Ha ricevuto indennizzi dallo Stato come orfana di femminicidio?

"Zero, anzi. Sono stata maltrattata dallo Stato, spesso i servizi sociali mi ripudiavano dicendo che ero una bambina problematica".

Che rapporto ha con suo padre?

"Per molti anni aveva il divieto di avvicinamento, poi quando ho compiuto 18 anni ho voluto incontrarlo. La mia vita era composta da un puzzle e volevo riunire tutte le tessere".

Quando ha chiesto a suo padre ‘perché’, cosa ha risposto lui?

"Quando ci siamo visti ci siamo abbracciati. Lui mi ha risposto che era geloso perché lei aveva un altro e quella era stata la soluzione migliore. Poi ho staccato ogni contatto, non possiamo stare insieme. Avere rapporti con lui era come mancare di rispetto a mia madre. Continua a cercarmi, ma io lo respingo. Il perdono non è un’opzione: mai lo avrà".

Chi l’ha aiutata nello svolgimento della tesi?

"I miei genitori adottivi, il mio relatore e… io".

Quali sono state le conclusioni del suo lavoro accademico?

"Che ancora troppe persone subiscono violenze domestiche. E anche che, per gli intervistati dei miei sondaggi, i servizi di supporto non sono assolutamente idonei. Pure io all’epoca non ho avuto alcun tipo di aiuto".

Come si può risolvere l’emergenza dei femminicidi?

"Bisogna sensibilizzare le donne, soprattutto stare vicino a quelle che hanno paura a denunciare. Poi servono leggi più incisive, il Codice Rosso non basta. Gli orfani sono abbandonati nel mondo".

Cosa sogna di fare nella vita?

"Mi piacerebbe diventare insegnante, lavorando con i bambini. Poi sicuramente essere una figura di riferimento dei centri anti violenza: farei di tutto per contrastare il fenomeno".

Ha partecipato alle selezioni di Miss Italia, che esperienza è stata?

"Bella, ma non è il mio settore, sfilare non mi piace. Preferisco posare, infatti sono fotomodella da dieci anni. Faccio anche la ballerina e l’animatrice. Sono molto socievole, porto allegria a tutti: dentro ho qualsiasi tipo di dolore, ma cerco di trasmettere il sole a tutti".

Gli anni in orfanotrofio cosa le hanno insegnato?

"Niente, è stato una specie di lager. Quando mi ammalavano non mi davano neanche le medicine. È stato un calvario, tutto da dimenticare, non lo auguro a nessuno".

Cosa vuoi dire alle donne, soprattutto quelle che vivono un incubo ma non hanno la forza di recidere un rapporto sentimentale malato?

"Non è mai facile, lo so, ma se trovano un’amica o un parente fidato, devono confidarsi e lasciarsi aiutare. Mai facendo qualcosa di plateale, perché gli uomini ossessivi diventano pericolosi".

Da tanti anni ha due genitori adottivi. Chi sono per lei Mirella e Domenico?

"Loro mi hanno aiutata sin da piccola, portandomi in un centro psichiatrico di Pisa quando attraversavo il periodo più difficile. Ero tanto irrequieta. Loro sono due dottori in pensione, lei penumologa e lui veterinario: sono genitori che mi hanno dato tutto e non mi hanno fatto mancare mai niente. Sono stati i miei angeli".

Ora come sta?

"Sono emozionata, ma ho tanta amarezza. Questi episodi di violenza sulle donne non accennano a calare e temo che anche i miei sforzi vadano perduti".