Mercoledì 24 Aprile 2024

L’Atalanta è la Dea dei due mondi Anche la provinciale fa l’americana

Bergamo, si chiude un’era nel vivaio del calcio italiano. Metà delle quote al proprietario dei Boston Celtics

Migration

di Fabrizio Carcano

Da ieri l’Atalanta Bergamasca Calcio è la Dea dei due mondi. La piccola provinciale orobica è diventata una realtà intercontinentale, con quasi la metà delle quote cedute al finanziere statunitense Stephen Pagliuca, businessman di origini italiane per 200 milioni di euro. Dea a stelle e strisce, ma sempre Bergamasca, come ricorda il suo secondo nome, per le solide radici dell’altro suo co-owner Antonio Percassi da Clusone. Che ha voluto mantenere il 52% delle quote e la carica di presidente. Per avere un ruolo decisivo. E di garanzia. Sul futuro dell’Atalanta, radicata al suo terreno, duro e pietroso. E ad un popolo che si immedesima come pochi altri in questo club, simbolo di un’intera comunità di poche parole e tanto lavoro, spesso manuale. A Bergamo hanno reagito con stupore e incredulità alla notizia.

Finora l’Atalanta era sempre stata in mani di famiglie storiche bergamasche. I Bortolotti, i Ruggeri, i Percassi, affiancati da piccoli imprenditori locali. E adesso arrivano gli americani. Robe da milanesi mugugnano nei bar i tifosi. Increduli. I più anziani persino spaventati sul futuro. Figlio di un presente che corre velocissimo. Anche per la Dea, che per decenni è stata il simbolo di quella realtà semplice che partiva dagli oratori delle parrocchie bergamasche, o al massimo delle province confinanti, dove crescevano a preghiere e pallone talenti immensi, da Scirea a Donadoni, da vendere a peso d’oro ai ricchi club delle grandi metropoli, Milano, Roma, Torino sponda bianconera, Giganti rispetto alla piccola Bergamo provinciale, che negli anni ha mantenuto lo stesso copione adeguandolo ai tempi: con gli oratori a sfornare i Gagliardini, i Bastoni, i Caldara, da svezzare nel vivaio e rivendere a peso d’oro.

Da qualche anno però a Bergamo le cose stavano cambiando, inevitabile quando il livello sale e in città ti arrivano il martedì sera i bus del Liverpool, del Real Madrid o del Manchester United, come se fosse normale giocare contro questi squadroni. Tutti o quasi gestiti da proprietà di altri continenti, da fondi finanziari. Sembrava un altro mondo, da adesso è anche il mondo dell’Atalanta. La società pane, salame e polenta che aggiunge al menù hamburger e ketchup e da oggi per metà parla americano, anche se i suoi tifosi continueranno a parlare il dialetto delle valli e a mangiarsi la polenta. E ad ancorare l’Atalanta a Bergamo, senza farla gravitare troppo nelle orbite americane, ci penserà l’eterno Percassi.

Che vuole restare uno di loro, un bergamasco, un atalantino. Padre e padrone di questa Dea che gli somiglia e si identifica con lui. Un amore tinto di nerazzurro, il suo, che dura da oltre mezzo secolo. Domani Percassi festeggerà i primi 51 anni dall’esordio da calciatore professionista con la sua Atalanta. Succedeva il 21 febbraio 1971, in una decisiva partita casalinga di serie B contro il Bari: il non ancora 18enne difensore Percassi entrava nella ripresa al posto di Vavassori, per la prima di 110 gare con quella maglia nerazzurra che sente come sua seconda pelle. Mezzo secolo dopo è toccato a lui portare l’Atalanta in America, cedendo metà del pacchetto azionario al business man Stephen Pagliuca, uomo d’affari e di sport, co owner dei Boston Celtics, che nella sua prima esternazione da co-proprietario atalantino ha accostato la Dea ai biancoverdi.

Paragone che pochi a Bergamo coglieranno. Limitandosi ad ascoltare l’altra campana, quella di Percassi che ha spiegato che questa operazione serve a salire ancora più in alto, a provare a sfidare la Juventus e le milanesi ad armi pari. Quelle che ieri prima compravano i Scirea e i Donadoni da domani si potrebbero battere con i soldi degli americani.