Mercoledì 24 Aprile 2024

L’arresto di Messina Denaro La clinica circondata e il blitz Tenta la fuga, poi si arrende "Sono io quello che cercate"

Il capo di Cosa Nostra aveva appuntamento in un centro specializzato per curare il cancro al fegato. Quando ha capito di essere in trappola ha provato a tornare indietro, ma è stato subito fermato

Migration

di Nino Femiani

Sono appena passate le sei del mattino. Matteo Messina Denaro esce nell’area fredda della campagna di Castelvetrano, fuori lo attende Giovanni Luppino, un agricoltore e commerciante di olive, incensurato, di Campobello di Mazara. Bisogna percorrere i 120 chilometri tra il suo rifugio – un covo inespugnabile da quasi trenta anni – e la clinica "La Maddalena", alle 8 e mezza deve sottoporsi alla chemioterapia per contrastare e ridurre le metastasi al fegato, conseguenza di un tumore al colon per il quale un anno fa è stato operato per la seconda volta. È un uomo malato, Messina Denaro, un capo traballante dopo che negli ultimi tre anni gli hanno arrestato 100 affiliati, tra cui la sorella Patrizia e il nipote preferito, Francesco Guttadauro, e sequestrato un tesoretto di una trentina di milioni investito in un centinaio di appartamenti, supermercati e aziende agricole, società finanziarie, tutte intestati a prestanomi. Nonostante le sue condizioni, Messina Denaro – la primula rossa della mafia, latitante dal 1993 – non rinuncia ai suoi tocchi di eleganza. Al polso ha un prezioso cronografo, costo vertiginoso non inferiore ai 35mila euro (pare un Franck Mueller), e indossa un giaccone di montone scamosciato. La parte che recita nella clinica dove è stato operato, sotto il nome di Andrea Bonafede, è quella di un gentleman sofisticato che parla forbito con il personale sanitario. "Amo stare solo, ma mi piacciono le cose belle", dice ai sanitari che lo operano per la resezione di alcune metastasi al fegato nel 2021.

E anche con gli altri pazienti di chemio è premuroso e gentile. "Ci sono anche mie amiche che hanno il suo numero di telefono. Lui mandava messaggi a tutti. Ha scambiato messaggi con una mia amica fino a questa mattina. Lei è ora sotto choc a casa". Quando Luppino parcheggia, il boss, disarmato, fa per avvicinarsi all’accettazione, ma nota qualcosa che non va. Ha l’occhio allenato, gli basta un particolare per annusare la trappola. Gira i tacchi e cerca di uscire dal cancello che lo porta a una stradina laterale. I carabinieri dei Ros e dei Gis lo stanno aspettando, lui non cerca neppure di reagire. "Sono Matteo Messina Denaro, sono io quello che cercate", dice in un soffio ai quattro che lo hanno circondato. Uno di questi prende il telefonino e urla a un colonnello: "Preso, preso!". Non gli mettono neppure le manette e lo caricano su un furgoncino blindato, mentre i carabinieri che hanno partecipato all’operazione si abbracciano.

Finisce la lunghissima latitanza del boss trapanese, considerato l’ultimo rappresentante della mafia stragista, quella che aveva usato il tritolo contro i giudici Falcone e Borsellino, e sciolto nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo. Dopo l’arresto il boss viene condotto all’aeroporto di Boccadifalco e da lì in elicottero verso un carcere di massima sicurezza. "Finora – dice il procuratore Maurizio de Lucia - non parla, non ha dato indicazioni". E si ragiona sui fiancheggiatori: "C’è stata certamente una fetta di borghesia che negli anni ha aiutato Messina Denaro e le nostre indagini ora stanno puntando su questo". Come si è arrivati alla sua cattura? Antitutto microspie e intercettazioni che captano i dialoghi dei familiari. Circa tre mesi fa i parenti di Matteo Messina Denaro iniziano a discutere di qualcuno che sta male. I carabinieri iniziano a passare al setaccio il database dei malati oncologici e scoprono che un certo Andrea Bonafede, nato il 23 ottobre 1963, ha eseguito un esame istologico a Castelvetrano, con esito infausto: tumore al colon. Poi una prima operazione nel 2020, forse a Mazara del Vallo, e una seconda nel 2021 a "La Maddalena".

Gli inquirenti lo aspettano al varco. Viene fissata per il 16 gennaio una chemio, preceduta da tampone ed elettrocardiogramma. "Fondamentali sono state le intercettazioni, senza intercettazioni non si possono fare indagini di mafia", dice de Lucia. Ma sono tanti a pensare che Messina Denaro sia stato "bruciato" da Cosa Nostra che potrebbe aver deciso di ‘consegnare’ quel boss indebolito dalla malattia e dai colpi delle forze dell’ordine. Un padrino ingombrante che è meglio pensionare in una cella di massima sicurezza.