Mercoledì 24 Aprile 2024

L’Arco di Trionfo finisce imballato. "Soldi spesi male". Hidalgo nel mirino

Inaugurata l’ultima opera di Christo, morto nel 2020: 25mila metri quadri di plastica sugli Champs-Elysées. Polemiche sul web: "Meglio aiutare i poveri". Boomerang per la sindaca socialista candidata all’Eliseo

L'Arco di Trionfo di Parigi impacchettato

L'Arco di Trionfo di Parigi impacchettato

Chissà cosa direbbe Napoleone se, rientrando vittorioso dalla battaglia di Austerlitz, scoprisse il suo Arco di Trionfo impacchettato e coperto da 25mila metri quadrati di tessuto al polipropilene… E chissà come reagirebbe il generale De Gaulle se al termine della sfilata per la Liberazione trovasse, in place dell’Étoile, quella specie di gigantesco pacco abbandonato invece del monumento-simbolo della potenza militare della Francia…

Prima ancora dell’inaugurazione di oggi, il vento della polemica ha soffiato su Parigi. Nel mirino il capolavoro postumo di Christo: l’imballaggio dell’Arco che domina gli Champs-Elysées, 50 metri di altezza, 44 di larghezza, 22 di profondità.

"È orribile", "un progetto snaturato", "sembra un sacco per la spazzatura", "manca solo la scritta lavori in corso", ironizzano i parigini sul web. Ma quel che più indigna è il costo della realizzazione: 14 milioni di euro (tutti a carico dell’artista, diciamolo subito). "Vergogna! Fra qualche settimana i clochard moriranno di freddo e qui si buttano via i soldi. Quanti centri di accoglienza, quanti letti, quanti pasti caldi si potevano offrire con questa somma? In questo periodo di pandemia la Fondazione Christo avrebbe fatto meglio ad aiutare le persone in difficoltà invece di finanziare un monumento effimero".

Per la sindaca di Parigi Anne Hidalgo, che ha dato via libera al lifting e che mercoledì aveva visitato tutta sorridente il cantiere, la situazione è imbarazzante: si è appena candidata alla presidenza della Repubblica e teme un effetto elettorale negativo.

Sedici giorni: è la durata di vita prevista per l’Arco di Trionfo imballato. Il 4 ottobre il rivestimento verrà smontato e i visitatori potranno rivedere il museo del Milite Ignoto, gli scudi su cui sono incisi i nomi delle grandi battaglie della Rivoluzione e dell’Impero, i bassorilievi dedicati alla Fanteria, l’Artiglieria, alla Cavalleria e ai generali dell’Armée.

Adesso il capolavoro è là, un po’ sinistro. Ci hanno lavorato 98 fra tecnici e operai, sospesi ad altezze pericolose per srotolare fino al suolo e fissare con 3 chilometri di corda rossa riciclabile le strisce argentee di polipropilene: una materia plastica di sintesi, occorre ricordarlo, nata dalle ricerche di un italiano, l’ingegner Giulio Natta, premio Nobel per la chimica nel 1963.

Fu 60 anni fa che Christo ebbe l’idea d’impacchettare l’Arco di Trionfo: "Sarà come un oggetto volante che si animerà nel vento e rifletterà la luce. Le pieghe si muoveranno. Le superfici diventeranno sensuali al tatto e alla vista. Le persone avranno voglia di toccarlo". Christo Vladimiroff Javacheff – questo il vero nome dell’artista, nato a Gabrovo in Bulgaria – si era trasferito a Parigi nel 1958 per sfuggire al regime comunista. Qui incontrò Jeanne-Claude Denat de Guillebon, una francese dai capelli rossi nata a Casablanca il suo stesso giorno, il suo stesso mese e il suo stesso anno. Due predestinati, una coppia di artisti, amanti e compagni di vita i cui nomi si fusero in una sigla unica: Christo, appunto.

Nel 1962 realizzarono il primo fotomontaggio dell’Arco di Trionfo imballato. Poi passarono alle opere che costruirono la loro fama: nel ’70 un’immensa tela arancione in una valle del Colorado; nel ’76, dopo la morte di Mao, una striscia di tessuto giallo lunga 40 chilometri in California per rappresentare la Muraglia cinese; nel 1985 l’impacchettamento a Parigi del Pont Neuf, in poliestere color ocra; 10 anni dopo l’impacchettamento del Reichstag di Berlino. "È il sogno di una vita che si realizza dopo la scomparsa dei due artisti, Christo nel 2020 e Jeanne-Claude nel 2009", commenta Vladimir Javacheff, nipote di Christo e supervisore del progetto: "Imballare un monumento significa dargli una dimensione diversa rispetto a quella quotidiana, isolarlo dal contesto, renderlo prezioso come un regalo, più suggestivo ed evidente di quanto fosse prima".

Molto costosi, ma sempre autofinanziati, i capolavori della "ditta" Christo sono stati possibili grazie a un’accorta strategia di marketing culturale. Per il progetto dell’Arco di Trionfo la casa d’aste americana Sotheby’s organizzerà a Parigi una vendita di schizzi, collage, maquettes e litografie che illustrano le varie tappe dell’esposizione temporanea. L’incasso coprirà le spese. È stato così per tutte le opere precedenti della coppia: l’ultima asta, organizzata da Sotheby’s a Parigi nel febbraio scorso, ha fruttato oltre 9 milioni.