L’America in declino e mai ripartita

Cesare

De Carlo

Un anno dopo l’assalto al Capitol Hill (6 gennaio 2021) gli americani si ritrovano frustrati, depressi, pentiti. Eppure l’economia è in ripresa, Wall Street va su e la disoccupazione giù, il superdollaro straripa. Ma dai sondaggi emerge il timore di essere senza guida o meglio di avere come guida uno che non è "up to the job", come scrive il Wall Street Journal, e dunque non in grado di contrastare la sensazione di declino. Anzi, con il democratico Joe Biden, questa sensazione si è accentuata, all’interno (immigrazione, pandemia ) e all’esterno (Afghanistan, Cina, Russia, Iran). E la domanda prevalente non riguarda più le responsabilità politiche dell’umiliazione violenta (non insurrezione per l’Fbi) inflitta al tempio della democrazia. Riguarda le cause a cornice. Voglio dire che la rivolta trumpiana va considerata un sintomo del declino di cui sopra. Riflette una sfiducia crescente nel sistema e soprattutto nei metodi di selezione elettorale. Se n’è parlato poco un anno fa nel pieno delle emozioni. Ma la più vecchia democrazia del mondo moderno, nata prima della rivoluzione francese e dunque quando in Europa dominava ancora l’assolutismo monarchico, oggi dimostra tutta la sua età. E le sue assurdità.

Ogni Stato – e sono cinquanta – ha proprie regole elettorali. In quelli governati dai democratici si può andare al seggio con la bolletta della luce o addirittura senza documenti di identità. Non capita nemmeno nel Bangladesh. I democratici sostengono che l’obbligo dell’identificazione scoraggia l’afflusso alle urne delle minoranze razziali. L’anno scorso il voto per posta è stato quasi il 70 per cento. Gli elettori sono stati alluvionati da schede. Io stesso ne ho avuto più di una. E le verifiche, una volta eliminate le buste, sono impossibili. Infine per i risultati finali ci sono voluti due mesi. In queste condizioni il sospetto di brogli è dietro l’angolo. Come stupirsi della rabbia degli sconfitti? ([email protected])