Mercoledì 24 Aprile 2024

L’altro conto del Covid per la sanità

Gabriele

Canè

Se gli ospedali fossero fatti con il Lego, non ci sarebbero problemi. Serve un reparto? Compri una scatola, la monti, e via. Se il personale sanitario fosse come i pani e pesci del Vangelo, potremmo moltiplicarli a seconda della fame di cure. Purtroppo non funziona così. Gli ospedali sono quelli, pochi. I sanitari altrettanto. Anzi, pochissimi nei reparti e sul territorio, visto che negli anni tante uscite non sono state rimpiazzate. Risultato: nella normalità ce la caviamo. Nella eccezionalità di una pandemia, il lenzuolo diventa stretto. Tiri da una parte per far fronte alla ondata dei contagi, ti scopri dall’altra sul fronte delle malattie di tutti i giorni. Storia arcinota, di dimensioni drammatiche nei momenti più neri del virus, comunque preoccupante ora che ci sono da smaltire esami, visite, interventi.

I dati della Società italiana di chirurgia sugli "arretrati" del 2020 sono da brivido: 400mila operazioni, oltre 1,3 milioni di ricoveri in meno rispetto al 2019. Qualcuno ha potuto aspettare, e ce l’ha fatta. Altri no. Certo, parlarne adesso può sembrare superfluo. Peccato che non lo sia per un paio di motivi. Primo: i vuoti negli ospedali sono ben lungi dall’essere colmati e sul territorio oltre un milione di italiani sta rischiando di restare senza medico di famiglia. Quindi, il recupero degli arretrati rimane lento e incompleto. Secondo: il virus colpisce ancora, letti e rianimazioni sono in parte impegnati. Rispetto al 2020, però, quando affrontavamo a mani nude il nemico, quest’anno abbiamo un’arma: il vaccino. Che non immunizza al 100%, ma protegge, attenua, contrasta. Tanto. Allora, bisogna essere chiari: qualunque letto non disponibile per un malato "normale", qualunque intervento rinviato perché il personale è impegnato a curare un malato non vaccinato, sono un’offesa al vivere civile. Che è fatto di tutela della salute propria. E di rispetto per quella degli altri.