Martedì 16 Aprile 2024

L’altra strage I cronisti morti per informare

Alessandro

Farrugia

Essere “sulla notizia“ e non diventare “la“ notizia è un esercizio difficile in guerra. Per coprire al meglio delle operazioni belliche, una rivoluzione, un attacco terroristico, occorre esserci. Per verificare di persona e non dipendere solo da agenzie di stampa, social media o informazioni più o meno di parte, l’inviato speciale deve essere sul posto e con lui – e anzi più di lui perché hanno bisogno di immagini – devono esserci fotoreporter e cameraman. Anche se questo significa rischiare la vita.

Secondo l’Istituto dei mass media ucraino, citato dal ministro della cultura, politica e informazione ucraino Alexander Tkachenko, in questa ultima, insensata guerra, sono morti 32 giornalisti. Quelli uccisi proprio mentre stavano lavorando in zona di operazioni sono otto, e nove sono i feriti, e altri 15 sono scomparsi, probabilmente rapiti. Alcuni sono giornalisti stranieri, giunti a Kiev e nel resto del paese per garantire l’eccezionale copertura mediatica che ha permesso a questa guerra di essere, più di molte altre, una guerra “in diretta“. Ma la maggior parte delle vittime e tutti gli scomparsi sono ucraini. Cronisti di testate locali, carta stampata, social, agenzie, tv, radio, ma anche i cosiddetti “fixer“, colleghi a tutti gli effetti che lavorano per giornalisti stranieri fornendo un supporto in termini di conoscenza delle fonti locali e della lingua. “Facilitatori“ indispensabili di solito neppure citati nei reportage degli inviati, ma che come loro rischiano e muoiono.

Anche sotto i proiettili, siamo tutti uguali. Nessuno cerca il pericolo per il pericolo, ma la copertura della notizia spesso ti porta a trovarlo. Molti riescono ad evitarlo, ma non tutti. Ma un cosa occorre tenere bene a mente: non lo si fa per una gloria effimera, men che meno per tornaconto economico, ma per un semplice dovere che è parte della nostra professione: informare i nostri lettori, raccontare la verità, quale che sia.

È un privilegio essere un inviato in zona di guerra, ma è un privilegio per il quale devi essere pronto a rischiare la vita. Sennò, stai a casa.