Mercoledì 24 Aprile 2024

L’allieva di Eco e il tribunale web "La frustrazione genera odio"

Cosenza, ordinaria di Semiotica: "I dati dicono che le bufere social aumentano nei periodi di crisi economica"

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di Simone Arminio

 

Una storia che mette in luce il carovita nelle città e l’inadeguatezza dei salari in Italia ha generato giorni di odio sul web nei confronti di una ragazza di 29 anni. È il solito film.

Giovanna Cosenza, semiologa, allieva di Umberto Eco, direttrice del Master in Comunicazione, management e nuovi media in cooperazione tra le università di Bologna e San Marino, ma come nascono le bufere d’odio?

"Non c’è una risposta univoca, ogni bufera web ha un’origine che va contestualizzata. Un elemento in comune, se proprio vogliamo cercarlo, è però la frustrazione, che parte da una riflessione tanto semplice quanto vera: se non hai problemi, in questo caso economici, non sei arrabbiato e dunque non hai bisogno di sfogarti su qualcuno".

Anche gli odiatori soffrono.

"Prendiamo il caso in esame: si parla di stipendi, e della difficoltà di arrivare a fine mese. Sono abbastanza certa che la maggioranza delle persone che si sono accanite sulla bidella in questione non navighi nell’oro e viva problemi simili ai suoi. È una guerra tra poveri, per dirla con una semplificazione".

Ma un male comune non dovrebbe generare solidarietà?

"Lo fa quasi sempre, in realtà. Perché a fare notizia sono sempre i discorsi di odio e le ‘shit storm’, ma se poi guardiamo ai bilanci di fine anno dei contenuti social, e quindi alle cose più condivise in Italia nel 2022, così come le riporta una recente ricerca di DataMediaHub, vediamo che al primo posto c’è un ragazzo autistico che chiede agli utenti del web di fargli gli auguri e milioni di persone lo hanno fatto. Al secondo posto c’è l’addio di Alberto Angela al padre Piero, al terzo c’è la preghiera per un bambino gravemente malato di cancro".

In quei casi la veridicità delle storie condivise non viene messa in dubbio. Nelle bufere d’odio, invece, i fatti lasciano spazio alle opinioni e al sentito dire. Perché?

"La molla di questo fenomeno sta spesso nel coinvolgimento. Se infatti il malessere oggetto della storia condivisa, in questo caso economico, è lo stesso di chi poi commenta, la reazione che scatta non è di comprensione, ma di contrapposizione. Ciascuno guarda solo alla propria condizione e alimenta il sospetto che il malessere altrui invece non sia reale, che sia esagerato o artefatto".

Da qui l’odio.

"È il motivo per cui nessuno si è preoccupato di sottolineare che, come è vero, gli stipendi in effetti non bastano. Tutti invece si sono scagliati contro la povera bidella, insinuando che non ha voglia di lavorare, e che non è vero che fa la pendolare e di sicuro fa la furba, nasconde qualcosa. Ed è scattato un fact checking, ma del tutto particolare".

Di che tipo?

"Si tratta di un movimento unidirezionale, intanto, poiché i fatti ricercati devono essere ovviamente a supporto della mia rabbia. Ed è una reazione impulsiva anch’essa, pienamente inserita in quella stessa rabbia che la muove. Non è certo una verifica delle fonti calma e riflessiva, utile a farsi un’idea: noi una posizione l’abbiamo già presa, semmai cerchiamo conferma".

Eco parlava del popolo del web come di una legione di imbecilli. Però sui social ormai ci siamo tutti. Siamo tutti imbecilli?

"Quell’ormai celebre frase era un estremismo del maestro, usato poi troppo spesso a sproposito. Lo è anche in questo caso, perché chi ha gli strumenti per andare sui siti delle compagnie ferroviarie, calcolare i costi, fare la media mensile, prevedere variabili come sconti o raccolte punti, insomma, non mi sembra affatto imbecille. Qualche strumento cognitivo ce l’ha".

Come neutralizzare la rabbia social, dunque?

"Riportando i social network a quello che sono davvero, e lo dicono i dati: un posto dove, in primo luogo, e pur facendo meno notizia, si condividono quotidianamente affetti e storie positive, e si generano reazioni di solidarietà. Non è buonismo, ma un dato di fatto, supportato dalle analisi del traffico social".

E come fermare le bufere, quando partono?

"A livello politico agendo sui salari, e non è una battuta. Perché è un dato ormai acclarato che l’odio sui social si acuisca nei momenti di malessere sociale. A livello mediatico, invece, riportando con pazienza l’attenzione sui fatti, e sul contesto. Enfatizzando le reazioni di solidarietà sulle vittime dell’odio web anziché concentrarci sugli odiatori. Perché parlare di odio genera odio. Ma raccontare storie positive e di solidarietà umana, ce lo dicono i dati, innesca lo stesso tipo di emulazione".