Martedì 16 Aprile 2024

Lagarde, quando le parole non hanno peso

Raffaele

Marmo

aremo tutto ciò che è necessario" e "Faremo quel che va fatto" all’apparenza significano più o meno la stessa cosa. Ma la prima formula, di Mario Draghi, è servita a salvare l’euro. La seconda, pronunciata ieri da Christine Lagarde, potrebbe, invece, alimentare la recessione.

A fare la differenza tra le due espressioni, in realtà, non è tanto il significato, ma il chi le usa e il come le usa. E, si potrebbe dire, che in definitiva, a fare la differenza è il senso politico delle due formule, presente nella prima, assente o quasi nella seconda. E si spiega, dunque, come le mosse sui tassi e sui programmi di acquisto dei titoli pubblici dell’attuale numero uno della Bce siano finite in questi mesi (compresa quella di ieri) nel mirino di molti leader dei governi Ue. Da ultimo in ordine di tempo, anche della neo-premier Giorgia Meloni, che non a caso ha parlato di "decisione da molti reputata azzardata".

Certo l’inflazione ha ripreso a correre come non accadeva da decenni. E, come sottolinea Lagarde, all’indirizzo della nostra Presidente del Consiglio, "una banca centrale ha il mandato della stabilità dei prezzi e deve perseguirlo usando tutti i mezzi".

Il problema, però, diventa maledettamente più complicato quando è alle viste una nuova recessione, perché mai come in un tornante di questa portata non può bastare la sola "tecnica" o la sola "regola della banca centrale". Serve, invece, un profilo "politico" nella decisione che indichi una rotta verso l’uscita dalla bufera in arrivo. In caso contrario, il rialzo dei tassi diventa un pezzo del problema e non una parte della soluzione.

È, in fondo, quello che fece Mario Draghi quando, il 26 luglio del 2012, in piena crisi dei debiti sovrani, diede un messaggio eminentemente "politico" a mercati e governi: oggi, invece, quello che manca è un "whatever it takes" da applicare al mix inflazione-recessione. Insieme a chi possa pronunciarlo.