Giovedì 25 Aprile 2024

Lady liquirizia "Volevo fare la magistrata Ma una scatolina vintage ha cambiato la mia vita"

La presidente della Amarelli: nel 1963 scesi in piazza perché le donne non potevano fare le giudici "Un giorno mio cognato mi mostrò una vecchia confezione dei nostri prodotti. Fu la svolta"

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di Simone Arminio

ROSSANO (Cosenza)

Pina Amarelli, nata Mengano, 74 anni, imprenditrice, cavaliera del lavoro, presidente dell’omonima azienda di liquirizia celebre al mondo. Si dice che in giro ci sia addirittura una Barbie col suo volto.

(ride). "Ma no, si tratta di uno scherzo in famiglia".

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"Per Expo Milano ebbi l’onore di far parte dei 22 italiani scelti in rappresentanza della ‘Potenza del saper fare’. Ne fecero una mostra con le nostre effigi, solo che le mie nipotine andarono a visitarla pensando di trovarsi di fronte a una nonna a grandezza naturale, e quando videro che le statue erano piccolissime mi dissero, un po’ deluse: ‘Ma nonna, non è una statua: ti hanno fatto una Barbie’".

Lei rispose piccata?

"Mi divertii molto. E poi se ti mettono su un piedistallo è bene che ci sia qualcuno che con una risata ti faccia scendere".

Come è salita sul piedistallo?

"Per una serie di circostanze casuali. Mai avrei immaginato di diventare imprenditrice".

Cosa sognava di fare?

"Nel 1963 mi sono iscritta a Giurisprudenza a Napoli, la mia città. Volevo fare la magistrata, ma le donne non potevano. Manifestammo, e alla fine ottenemmo l’accesso. Fu un piccolo anticipo di ‘68. Era il 1963".

Poi però cambiò idea.

"Avevo appena perso mia madre, ed ero la figlia più grande. La magistratura voleva dire cambiare tante città, non me la sentii di lasciare tutti. Così feci l’assistente di Diritto Romano, come il mio futuro marito".

Il barone Amarelli, storici produttori di liquirizia.

"Non sono più baroni. Gli tolsero il titolo per via di un antenato carbonaro. Anni dopo un parente chiese al Re d’Italia la riabilitazione, e così oggi gli Amarelli sono nobili perpetui. Ogni tanto arriva qualche lettera a mio marito con su scritto ‘prof. nob’. La cosa ci fa sorridere".

Anche lei era nobile, per parte di madre.

"Una Corsi di Firenze. Ma anche in quel caso non andò benissimo: mio nonno nel ‘21 aderì al socialismo..."

La passione per la politica è arrivata fino a lei...

"Fui candidata con Prodi, nella prima avventura dell’Ulivo, un’esperienza straordinaria, anche se non fui eletta".

Capitolo chiuso?

"E chi lo sa. Mai dire mai".

Torniamo agli Amarelli. Suo marito, professore e poi preside di facoltà, di liquirizia non voleva saperne.

"Ha seguito la sua vocazione, e suo padre, che era una persona illuminata, gliela fece seguire. In azienda stavano mio suocero e mio cognato".

E lei quando arrivò?

"Mi avvicinai gradualmente grazie alla mia passione per la comunicazione. Davo qualche consiglio. Poi un giorno mio cognato tirò fuori un’antica confezione in alluminio di liquirizie Amarelli ed ebbi un’illuminazione: rifate quelle scatole".

Aveva ragione: quelle scatole hanno conquistato il mondo.

"Esportiamo il 25% del prodotto. Molta Europa, soprattutto del Nord, poi Sud America, Australia, Nord Africa, Medio Oriente e Giappone".

Cosa vide in quelle scatole?

"Ci vedevo la storia dell’azienda e volevo raccontarla, fare uno storytelling, come si dice oggi, forse troppo spesso. La Amarelli era, ed è tuttora, un’azienda piccola (abbiamo 40 dipendenti per 3 milioni di fatturato) ma con un brand fortissimo. Una confezione di quel tipo, da conservare e riutilizzare, avrebbe rappresentato il vero valore aggiunto, unendo passato e futuro, storia e sostenibilità ambientale, e ci avrebbe resi unici, come la liquirizia di Calabria".

Perché mai, al di là del marketing, la liquirizia di Calabria dovrebbe essere unica?

"Non è marketing: lo dice l’Enciclopedia Britannica. È per il mix di dolce e amaro che la rende apprezzabile in purezza".

Cosa vuol dire?

"Che a fronte di tanti prodotti sul mercato all’aroma di liquirizia, sulla nostra confezione, alla voce ‘ingredienti’ c’è una sola parola: liquirizia. Anche se la materia prima non basta, bisogna saperla lavorare".

Oggi lo fanno le macchine.

"Corretto in parte. La nostra è un’azienda ad alta tecnologizzazione, un’impronta data da mio suocero. Ma il momento esatto in cui la liquirizia va tolta dalla caldaia, perché è solida ma ancora malleabile per essere lavorata, lo conosce solo il maestro liquiriziaio".

Voi dove li trovate?

"Siamo un’azienda familiare in tutti i sensi. Alcuni nostri dipendenti sono arrivati alla quarta generazione".

Lei ha guidato l’Association Internationale d’Entreprises Familiales & Bicentenaires con sede a Parigi, ma nel suo curriculum ci sono anche la presidenza di Banca Regionale Sviluppo, varie cariche nel Fai, poi è testimonial di Unicef in Calabria e siede in svariati cda.

"Sono dell’idea che un imprenditore non possa limitarsi a fare solo l’imprenditore. È un ruolo che ne impone molti altri".

Donna imprenditrice, negli anni ’80, in Calabria. Quanti soffitti di cristallo ha rotto nella sua vita?

"Non è stato facile. Ma devo essere sincera nel dire che io di soffitti di cristalli non ricordo di averne mai rotti. Forse non li ho visti: volevo fare delle cose, ci ho creduto, le ho fatte".

L’avranno guardata come un’aliena, in principio, dentro e fuori dall’azienda...

"Mi guardavano con simpatia. Li avevo conquistati con quella storia delle scatole di metallo".

Le dispiace non aver fatto la magistrata?

"L’ha fatto mia figlia, mi va bene così. Una carriera che ha scelto, come anche quella di mio figlio, che ha seguito le orme del padre".

E all’azienda chi penserà?

"Le nuove generazioni di Amarelli sono già in azienda. A loro però non è bastato essere degli Amarelli. Hanno dovuto studiare, perché oggi le imprese hanno bisogno di buoni manager".

Donne e uomini?

"Donne e uomini. Ma perché sia così c’è bisogno che il welfare sia all’altezza. Io non avrei potuto fare l’imprenditrice senza gli asili nido, le scuole a tempo pieno, l’assistenza agli anziani. Il punto è che alcuni di questi, soprattutto in Calabria, li ho dovuti cercare e me li sono potuti permettere. E invece devono essere per tutti. Questa è la battaglia da combattere".