L’addio dopo il parto. Quei tremila bambini abbandonati ogni anno. "Mai visti ripensamenti"

La presidente del Tribunale dei minori di Milano: nessuna donna è mai tornata sui suoi passi "La scelta di lasciare il proprio figlio è sempre traumatica. E non è mai impulsiva"

Milano, 12 aprile 2023 – Non solo Enea. Ci sono anche Giovanni, Elena, Marta, Antonio e tanti altri, per un totale di 3mila neonati che si stima siano abbandonati dalle loro madri nei momenti o nei giorni successivi al parto. Di questi piccoli appena 400 vengono lasciati in ospedale, gli altri sono ritrovati all’interno di cassonetti, in strada, qualche volta davanti ai pronto soccorso in maniera tale da rendere più tempestiva la presa in cura del bambino che, per una ragione o un’altra, la donna decide di non accudire. Le stime sono fornite dalla Società italiana di neonatologia.

L’ordinamento giuridico italiano consente alla madre di non riconoscere il nascituro e di lasciarlo nell’ospedale in cui è nato (dpr 396/2000, art. 30, comma 2), affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della donna rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino si riporta la dicitura di ’nato da donna che non consente di essere nominata’. In questi casi le mamme, per così dire segrete, hanno dieci giorni per ripensarci e tornare sui loro passi, poi, non sapranno più nulla del figlio che hanno comunque messo al mondo. Secondo i dati statistici della Società italiana di neonatologia, il 73% dei neonati abbandonati è figlio di donne italiane, il 27% di migranti. Il 6% delle madri, che decidono di abbandonare i loro figli in fasce, sono minorenni.

Altro capitolo quello delle adozioni. Ogni anno nel nostro Paese sono circa mille i minori dichiarati adottabili. Due anni fa sono stati 680 i bambini stranieri che hanno trovato una nuova famiglia. Un dato in lieve crescita rispetto ai 669 fatti registrare nel 2020.

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Giudice Maria Carla Gatto, presidente del tribunale per i minori di Milano, ha memoria di qualche caso di mamma tornata a riprendersi il bimbo appena abbandonato?

"No, davvero. È evidente che l’abbandono di un figlio è una scelta dolorosa e ragionata. Forse bisognerebbe chiedersi, semmai, perché la decisione di lasciarlo così nella ’ruota’ e non invece dopo averlo partorito in ospedale".

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Lei cosa pensa?

"Certamente il problema della ricerca delle origini da parte dei figli nati da madri che non li hanno riconosciuti alla nascita è oggetto di interpretazioni giurisprudenziali. La mamma che partorisce in ospedale potrebbe essere in un futuro interpellata da un magistrato su richiesta del figlio".

Esiste una legge che disciplina l’accesso alle origini in caso di mamma rimasta anonima?

"In realtà no, perché il Parlamento non è ancora intervenuto nonostante la Corte costituzionale lo abbia invitato a farlo. Nel frattempo i tribunali seguono prassi diverse per rintracciare la madre e interpellarla in merito alla sua volontà di revoca o meno dell’anonimato".

Tornando al caso del piccolo Enea, quanto tempo ci vorrà perché il tribunale possa trovargli una famiglia?

"Trascorsi i dieci giorni per un eventuale ripensamento della mamma biologica, la procedura si concluderà entro un mese. Di recente è successo così, per esempio, per quella bambina abbandonata a Monza dentro una scatola davanti all’ospedale. Anche per il piccolo Enea verranno esaminate le domande di adozione nazionale che a Milano ogni anno sono circa 550 e restano valide per tre anni".

Che criteri seguite in questi casi?

"Vengono individuate cinque coppie con le caratteristiche che appaiono più adatte al caso specifico e, a seguito della loro comparazione, viene scelta quella più adeguata per il bambino. Per esempio nel caso di Enea, che è un neonato, troveremo certamente una coppia di genitori giovani".

Anche se in realtà l’età media delle coppie che chiedono di adottare si è alzata negli ultimi anni.

"Sì, perché in genere è aumentata l’età della genitorialità biologica e all’adozione, poi, spesso si arriva solo dopo un lungo percorso di fecondazione assistita concluso senza successo".

Torniamo al bambino milanese. In concreto a chi spetterà la decisione finale sull’adozione?

"È una responsabilità che spetta al tribunale, che si avvale però anche del supporto multidisciplinare dei giudici onorari".