Giovedì 18 Aprile 2024

L’Abate rosso dello scandalo "Era perseguitato e soffrì tanto"

La moglie giapponese di dom Franzoni: "Fu rinnegato dalla Chiesa per le nozze e per il suo appoggio al Pci"

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di Giovanni Panettiere

FARA SABINA (Rieti)

Resta deluso chi cerca la tomba dell’Abate rosso. Non esiste lembo di terra per Giovanni Franzoni, tradito dal cuore a 88 anni, nel 2017. Non l’ha preteso la Chiesa istituzione, irremovibile nel negargli una piena riconciliazione, più per la sua scelta di sposarsi che per l’indomito impegno nel coniugare marxismo e cristianesimo; non l’ha voluto lo stesso ex abate della Basilica di San Paolo fuori le mura, il padre conciliare più giovane del Vaticano II che per il post mortem preferì le ceneri alle ossa. "L’unica sepoltura che conta è forse proprio nella memoria degli amici – sosteneva Franzoni –, là dove la tua vita è diventata vita di altri".

Yukiko Ueno non era una semplice amica. Del teologo progressista italiano più dirompente del secondo ’900 ne è stata la moglie. Si sposarono nel 1990 a Tokyo, da tempo Franzoni aveva dovuto lasciare la talare. Prima la consacrazione con rito buddista, poi la cerimonia civile all’ambasciata italiana. Oggi l’80enne giapponese, la voce sottile a dare tono a una fiera compostezza, è la vestale di una relazione straordinaria, ancora capace di scandalizzare chi non accetta una donna al fianco di un prete, figurarsi di un abate.

"La morte non ci ha separati, Giovanni è qui, anche adesso – la guida turistica in pensione ci accoglie seduta sul divano della taverna rustica nel loro casale, scortato da una fitta macchia di uliveti al limitare di una ripida ascesa sulle colline ghiaiose di Fara Sabina, nel Reatino -. Ogni mattina vado in camera sua e sopra il mobiletto, dove custodisco le sue ceneri, gli lascio una tazzina di caffè e qualche dolcetto. È un’usanza giapponese, non gliene avevo mai parlato".

Ueno e Franzoni si conobbero per caso nel 1987 nei saloni della Comunità cristiana di base di San Paolo. Lei, atea e comunista, era all’oscuro di chi fosse "quell’uomo alto e bello". Non sapeva che era stato costretto dalla Santa Sede a dimettersi dalla carica di abate per aver solidarizzato con le lotte operaie, essersi opposto al concordato fra Stato-Chiesa, aver criticato la guerra nel Vietnam. E nemmeno che, dopo aver fondato la Cdb sull’Ostiense, incorse nella sospensione a divinis e dovette abbandonare l’ordine benedettino: colpa del sostegno alla legge sul divorzio. Nel ’76 la riduzione allo stato laicale, con l’accusa di essere iscritto al Pci.

"Giovanni mi ha sempre detto che non era vero, che era una trappola – Ueno fuga ogni dubbio –. Dopo che era morto ho trovato fra le sue cose una tessera del Pci. L’ho buttata, subito. La solidarietà agli operai, la difesa del divorzio: era la comunità a dargli il coraggio di compiere certi passi, me lo ha sempre detto. Il Vaticano II e l’esperienza a San Paolo lo convertirono al Vangelo degli ultimi".

Una vita segnata da scelte radicali pagate alla fine con la damnatio memoriae. Nel 2012 il suo nome non compare nella lista dei padri conciliari invitati da Benedetto XVI in udienza speciale per i 50 anni dell’assise. Franzoni diventa un cattolico marginale, come si definì lui stesso nell’omonima autobiografia. "Soffrì moltissimo per quello sgarbo – ricorda la vedova –. Era già anziano e quasi cieco. La Chiesa l’ha perseguitato, eppure lui è rimasto cristiano fino all’ultimo: l’educazione dei bambini alla fede, anche se in senso critico e non catechistico, è sempre stata centrale nella sua vita".

Uno dei gattini di casa ci fa strada nella stanza monacale di Franzoni. I libri dell’Abate rosso sono in ordine sulla scansia di legno grezzo. Dal dirompente La Terra è di Dio, in cui denunciava le speculazioni edilizie d’Oltretevere, a La morte condivisa che legittima l’eutanasia, in certe circostanze. Nella camera tutto è rimasto come cinque anni fa: il santino di Oscar Romero sulla scrivania, il lenzuolo liso azzurro a coprire il letto dove il religioso lasciò la vita. "Come era In casa? Disattento, pensava e ripensava, sempre – il ricordo strappa un sorriso a Ueno –. Tante letture, poca tv, amava cucinare. Recuperava le ricette e si metteva ai fornelli. Era bravo".

Nei suoi ultimi anni di vita i cardinali Matteo Zuppi e Paolo Lojudice, il vescovo Domenico Pompili e padre Roberto Dotta, ex abate di San Paolo, hanno saputo stare vicino a Franzoni. "Dotta è venuto a trovarlo in ospedale – confida Ueno –. Lui era contentissimo, lo si leggeva nei suoi occhi. Immagino sia stato Francesco a inviarlo". Si racconta che il Papa avrebbe voluto reintegrare Franzoni. "Giovanni mi fece capire che voleva farlo tornare in monastero – chiosa la moglie –. Rimpiango di non essere stata troppo comprensiva con lui, di non averlo ascoltato abbastanza, ma l’avrei lasciato libero di decidere". È mancato il tempo. Dell’Abate rosso resta la profezia, osteggiata o amata anche dopo la sua morte. Dentro e fuori il Vaticano.