Mercoledì 24 Aprile 2024

La vita migliora solo se siamo noi a volerlo

Leo

Turrini

Ma siamo proprio sicuri sicuri? Sì, dico, siamo davvero certi di desiderarla, la settimana lavorativa di quattro giorni?

Perché si fa presto a dire: viva il tempo libero, con osanna alla inevitabile crescita della produttività. Solo che poi la mammina con due figli piccoli, felicemente impiegata in banca, al venerdì rischia di essere convocata dalla suocera per un summit sul bilancio familiare. E il paparino che non deve andare in fabbrica, beh, magari pensa di dedicarsi alla palestra, salvo poi scoprire che a casa la signora lo pretende in servizio permanente effettivo su giardinaggio, svuotamento pattume, risistemazione della grondaia che sgocciola da una vita…

Sul serio: qui bisogna stare attenti. Non sempre il lavoro è una forma post moderna di schiavitù. Anzi, non di rado le esigenze professionali ("scusa, debbo andare in ufficio", "perdonami ma ho un impegno irrinunciabile") hanno contribuito a tenere in piedi le relazioni interpersonali, i rapporti coniugali, i legami con i figli. La quotidianità ha ritmi che non necessariamente generano gioia, eppure talvolta la noia dell’abitudine si trasforma in medicina omeopatica. Tradotto: la lontananza figlia dello stipendio da incassare a fine mese ha salvato matrimoni ben più delle sedute dallo psicologo (che, salvo bonus, è pure da pagare, eh).

Dopo di che, per carità: "lavorare meno, lavorare tutti" era e resta uno slogan efficacissimo, a patto di riempirlo di contenuti (e fin qui non ci è riuscito nessuno, a destra come a sinistra). Ma occhio ai facili entusiasmi: la mitica qualità della vita non dipende dall’orario in ufficio o in fabbrica. Dipende dall’idea che abbiamo, l’idea di noi stessi e del prossimo. E qui, fidatevi, non c’è settimana corta che tenga.