Sabato 20 Aprile 2024

La visita di Conte è il prezzo del riscatto Ora Haftar chiede l’appoggio di Roma

Il blitz in Libia del premier e del ministro Di Maio ha dato al generale di Bengasi ciò che voleva: un riconoscimento internazionale

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di Alessandro Farruggia

Liberi, finalmente. I diciotto pescatori della marineria di Mazara del Vallo – otto italiani, sei tunisini, due indonesiani e due senegalesi – sequestrati il primo settembre dalle motovedette del generale Haftar e imprigionati in una caserma di Bengasi per 107 giorni, sono tornati in libertà. Attorno alle 20 di ieri sono riusciti a rimettere i moto i loro due motopesca (Antartide e Medinea) che avevano le batterie del motore d’avviamento scariche e in tarda serata, a 10-12 nodi, hanno iniziato la lunga navigazione verso l’Italia: arriveranno probabilmente domenica mattina.

Per ottenere il loro rilascio sono dovuti volare a Bengasi il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio: una mossa che diplomaticamente si definirebbe "molto irrituale", ma per la quale si era trovato un accordo mercoledì.

"Il fatto che un presidente del Consiglio e un ministro degli Esteri si siano mossi per andare a sancire la liberazione da un generale, il generale Khalifa Haftar, che non ha alcun riconoscimento internazionale o che non dovrebbe averne – osserva un attento osservatore delle vicende libiche come Arturo Varvelli dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr) – è il prezzo implicito che abbiamo pagato per risolvere questa situazione. Quello che voleva Haftar era che si muovessero da Roma e andassero a Bengasi e che lui avesse un riconoscimento simile. È esattamente il prezzo politico che dovevamo pagare ed è stato pagato".

Per risolvere la situazione in questi mesi ha lavorato molto l’Aise, i nostri 007 per l’estero, e in loro aiuto si è mossa sia la Farnesina che Palazzo Chigi.

Decisivo l’aiuto dei francesi, il cui ministro degli Esteri Yves Le Drian ha un filo diretto con Haftar (che Parigi sostiene politicamente e militarmente) e ha fatto da tramite con un altre grande sponsor del generale libico, il presidente egiziano Abdel Fatah Al Sisi. L’incontro decisivo ci sarebbe stato in occasione della visita di Al Sisi a Parigi, il 7 dicembre: Emmanuel Macron avrebbe chiesto un aiuto "per risolvere la questione cara ai nostri amici italiani", mossa che "avrebbe un effetto positivo nel migliorare ancora i rapporti tra l’Italia e il suo Paese".

Al Sisi voleva fare qualcosa per allentare la tensione con l’Italia per la vicenda del massacro di Regeni e ha colto il suggerimento facendosi portavoce della richiesta ad Haftar. Una sollecitazione in tal senso è giunta anche da un altro forte alleato di Bengasi, gli Emirati Arabi Uniti, il cui principe ereditario di Abu Dhabi, Moihammed Bibn Zayed, è stato ieri al Cairo per consultazioni con al Sisi e avrebbe chiamato Haftar per confermare l’opportunità della liberazione dei pescatori.

In cambio, l’uomo forte di Bengasi avrebbe chiesto "tassativamente" ai suoi sponsor un incontro politico a Bengasi del primo ministro e del ministro degli Esteri italiano. Dovevamo andare a Canossa. E Conte e Di Maio – che in questi 107 giorni non erano riusciti a fare una pressione politica o militare credibile – si sono risolti di accettare il ricatto e, ieri mattina, sono volati verso Bengasi con un Falcon 900 del 31° stormo. E dopo il fatal incontro con Haftar è giunta – non discussa nel colloquio – la contemporanea liberazione dei pescatori.

"I nostri pescatori sono liberi – ha annunciato su su Facebook il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio –. Grazie all’Aise e a tutto il corpo diplomatico che hanno lavorato per riportarli a casa". Per allontanare il sospetto che l’Italia abbia promesso di cambiare campo, abbandonando il sostegno al governo di Serraj, riconosciuto dalla comunità internazionale e avversario di quello di Haftar, Di Maio ha aggiunto che "il governo continua a sostenere con fermezza il processo di stabilizzazione della Libia. È ciò che io e il presidente Conte abbiamo ribadito al generale, durante il nostro colloquio a Bengasi". Se sarà così e non avremo cambiato cavallo in Libia lo vedremo nei prossimi mesi.