Mercoledì 24 Aprile 2024

La versione di Izzo: "Magia nera e massoni. Ecco cosa c’è dietro al delitto Corazzin"

La giovane rapita nel 1975 e il caso riaperto dalle dichiarazioni dell’ergastolano. La loggia e i collegamenti col mostro di Firenze, dai Parioli ai sequestri

Angelo Izzo, 67 anni, è stato condannato a due ergastoli

Angelo Izzo, 67 anni, è stato condannato a due ergastoli

Velletri (Roma), 27 novembre 2022 - Cella singola con angolo cottura, pareti spoglie e luce scialba rigata dalle grate. Angelo Izzo, il ‘mostro del Circeo’ con la pesante recidiva di un duplice omicidio a Campobasso, aspetta nel carcere di Velletri gli sviluppi dell’inchiesta sulla scomparsa di Rossella Corazzin, 17 anni, inghiottita dal mistero nel ’75 a Tai di Cadore, dov’era in vacanza con la famiglia. È stato lui a far riaprire il caso con una serie di dichiarazioni ogni volta ribadite e ultimamente ritenute attendibili, almeno in parte, dalla commissione Antimafia. Torbida storia che srotola il filo della sua matassa nera fino alla sorte del dottor Francesco Narducci, presunto suicida nel Trasimeno e al buio della selva toscana, area d’azione del mostro di Firenze. Izzo, 67 anni e due ergastoli, ripercorre quanto accadde, a suo dire, in quei giorni lontani. Era il 21 agosto 1975. Giovedì, e Rossella Corazzin, macchina fotografica a tracolla, scomparve mentre passeggiava da sola in un bosco del Monte Zucco.

Che cosa successe?

"Come ho detto più volte la ragazza venne rapita per soddisfare i desideri di una antica fratellanza che organizzava rituali di magia sessuale. Alcuni ‘fratellini’ dopo il sequestro la trasferirono nella villa del dottor Francesco Narducci, sul Trasimeno".

Come mai venne scelta una località del Cadore, così lontana dal lago?

"Gianni Guido, poi arrestato per il Circeo, aveva proprio lì una casa spesso aperta a tanti nostri fratellini pariolini. In quel periodo frequentavano la zona anche altri amici e alcune amiche molti dei quali pernottavano nel lussuoso hotel Posta. Non mancava, poi, Francesco Narducci, che veniva da Perugia, la sua città".

Il gastroenterologo Francesco Narducci, strano personaggio coinvolto poi escluso dalle spedizioni notturne del mostro di Firenze e infine presunto suicida, nel 1985, nel Trasimeno.

"Nonostante la giovane età pareva ben inserito nei mondi esoterici di un certo livello. Era, insomma, una figura importante, almeno nell’ambiente. Diventammo amici. Io non credevo molto a quelle pratiche, non ero in grado di valutarne la serietà e comunque mi sembravano più grandi di me. Anche per questo ogni tanto, per prenderlo in giro lo chiamavo scherzosamente col nome di un attore dell’epoca, tale Boris Karloff, specializzato in ruoli di vampiri e simili".

Ma lei, perché entrò nel giro?

"Io e i miei amici eravamo un po’ depressi. Andrea Ghira, poi coinvolto nei fatti del Circeo, era finito in carcere, nel ’73, per una rapina ai Parioli che aveva fruttato dieci pistole di un collezionista e una cinquantina di milioni di lire tra contante, orologi e preziosi. Cercammo di farlo uscire con pressioni su uomini politici, alti magistrati, imprenditori e preti ai quali avevamo fatto, per così dire, qualche piacere, ma non ci fu nulla da fare. Io personalmente trascorsi un intero pomeriggio con un ministro in carica, ma la risposta non lasciava speranze perché il giudice istruttore incaricato del caso, così disse l’onorevole, “è un comunista inavvicinabile“. E allora, piuttosto giù di morale, raccogliemmo la voce sull’esistenza di un’organizzazione che praticava magia sessuale, formata da ‘fratelli’ per davvero. Decisi di provare".

Chi vi contattò?

"All’inizio alcuni alti prelati e avvocati massoni. Poi un paio di miei coetanei e un camerata di 'Lotta di Popolo' in contatto coi ‘sanbabilini’ neri milanesi e romani e con un esperto di esplosivi dell’Aginter Press in stretti rapporti coi servizi segreti italiani, spagnoli, sudafricani, portoghesi e albanesi enveristi".

Vi ‘iscrissero’ senza alcuna ‘garanzia’?

"Nonostante non avessi più vent’anni godevo di grande fama anche perché, prima ancora di diventare maggiorenne, potevo presentare il bilancio di una decina di omicidi commessi personalmente".

Chi entrò, con lei, nell’organizzazione?

"Gigi Esposito, che nell’86 evase da Rebibbia in elicottero, e Valerio Viccei, che nell’estate dell’87 in completo Armani e senza sparare un colpo portò via dal deposito valori di Knightsbridge, a Londra, 140 miliardi di lire tra quattrini, titoli e gioielli. Venimmo ‘battezzati’ adepti della Schola Massonica, della Rosa Rossa e della Croce D’Oro con una cerimonia ‘bianca’, e cioè senza sangue. Nel giuramento si parlava anche degli Angeli come compagni d’arme. Dopo il ‘battesimo’ io divenni ‘samurai’, Gigi, il ‘cubo’ e Valerio il ‘lupo’. Tutti noi, io e i miei fratellini pariolini, diventammo una specie di braccio militare della Rosa Rossa".

Con quali compiti?

"L’impegno era quello di rapire ragazze e ragazzi da sacrificare durante cerimonie di sangue e di magia nera. Non solo: era previsto che togliessimo di mezzo anche traditori, investigatori troppo curiosi, profittatori e ricattatori".

Rossella Corazzin, fu una delle vittime.

"Proprio così. Venne deciso che bisognava sequestrare una vergine: in tanti conoscevano quel progetto. Io ero in un albergo di Positano e venni avvertito".

Chi partecipò al sequestro? Gianni Guido ha sempre negato.

"Lui trascorreva le vacanze nella casa di famiglia, a Tai di Cadore. In quel periodo salivano in montagna da Roma, per brevi periodi, molti amici e molte amiche".

Come si svolse il terribile rito di magia sessuale?

"C’era un altare, che poi era semplicemente un tavolo sul quale avevano sdraiato la ragazza vestita di una tonaca bianca. La cerimonia si svolse tutt’intorno a quell’altare con uomini incappucciati ognuno dei quali teneva in mano una candela accesa. Subito dopo ‘battezzammo’ una quindicina di adepti alla Rosa Rossa. Su quell’estate avrei molto da raccontare, ma il discorso sarebbe lungo".

Quindi il suo compito era quello di uccidere.

"Provenivo da un’educazione piuttosto scientista e da una conoscenza di paccottiglia esoterica di quegli ambienti, e siccome per me, almeno allora, ammazzare o stuprare era quasi routine, vedevo tutta la questione come un modo per tenere per le palle gente potente, per ottenere il riciclaggio di quattrini che scottavano e per avere una certa protezione in caso di problemi con la legge. Insomma: vedevo solo gli aspetti favorevoli".

Lei parla con sconcertante disinvoltura di omicidi, stupri e altri atroci episodi. E allora, Izzo, che cos’è per lei la vita?

"Per lungo tempo ho pensato che la vita fosse buttarsi dalla cima dell’Everest senza paracadute. Ora non lo so più. Non so davvero dirle cos’è la vita".

E la morte?

"Ho qualche difficoltà a liberarmi dalla sua fascinazione e penso spesso ai miei fratelli caduti col piombo, con l’eroina, correndo a folle velocità, suicidi. Mi piacerebbe che ci fosse un paradiso in cui rivederci e bere birra insieme".

Un’esistenza nel sangue di cui non si è mai pentito.

"Il termine ‘pentito’ è piuttosto complesso. La risposta più onesta è che non sono pentito di un singolo fatto, ma di tutta una vita. Ho buttato nel cesso la mia e quella di tante persone che hanno gravitato nella mia sfera affettiva".

Un mostro, quindi.

"Credo di essere figlio di un’epoca in cui una parte della mia generazione era convinta che ci fosse la guerra per le strade. Io e quelli che consideravo miei fratelli ci sentivamo soldati perduti in terra nemica, che potevano ammazzare, mettere bombe, stuprare, convinti che arrivare a trent’anni fosse da sfigati".

Lei viene da una famiglia della Roma bene, onesta e benestante. Che rapporto ha coi suoi parenti?

"Mi curano con affetto e pazienza, provvedono al vestiario e alle spese, ma da molti anni non accettano di incontrarmi e rispetto le loro decisioni. Molte donne, anche giovani, mi scrivono con proposte di fidanzamento e di matrimonio. Cosa faccio? Studio, sono pieno di dubbi, ma debbo ammetterlo: dopo il divorzio da mia moglie Donatella, mi sento un po’ solo".